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ergastolo ostativo
Oggi la Corte costituzionale si riunirà nuovamente per discutere di ergastolo ostativo. Lo farà a otto giorni dal varo di un decreto legge con cui il governo Meloni ha affrontato pure questa materia. Da quanto appreso, l’Avvocatura dello Stato non ha presentato memorie, ma ha allegato agli atti il testo del decreto con una nota di Palazzo Chigi in cui si lascia intendere che il provvedimento si sarebbe adeguato alle indicazioni della Consulta.
Secondo il professor Marco Pelissero, presidente dell’Associazione italiana di professori di Diritto penale, «la soluzione più lineare è quella secondo cui la Corte domani (oggi per chi legge, ndr) rinvii per la terza volta, in attesa che il Dl venga convertito. È vero che al momento è vigente, ma il testo potrebbe essere emendato dal Parlamento». Quindi, in un contesto connotato da assenza di procedura specifica, lo scenario che ipotizza l’ordinario di Diritto penale all’Università di Torino è che «la Corte si aggiorni in modo da riunirsi di nuovo al termine dei 60 giorni previsti per la conversione, quindi probabilmente a inizio gennaio. A quel punto, se la riterrà contrastante con i principi in precedenza affermati, potrebbe dichiarare incostituzionale la nuova disciplina, sulla quale il giudizio di legittimità costituzionale si trasferirebbe; oppure, qualora ritenesse la nuova disciplina rispettosa dei principi a suo tempo fissati, dovrebbe rinviare gli atti al giudice rimettente, ossia la Cassazione, affinché applichi la nuova disciplina al caso concreto».
E se il decreto- legge non fosse convertito in legge dal Parlamento? «Ritengo questa ipotesi molto improbabile considerata la maggioranza che sostiene questo Governo. Comunque qualora non dovesse essere convertito, la Consulta sarebbe chiamata a pronunciarsi sulla disciplina originaria ( ossia quella vigente prima dell’entrata in vigore del decreto- legge) della quale aveva già evidenziato i profili di illegittimità costituzionale, dichiarandone definitivamente l’incostituzionalità, nei termini che la Corte indicherà».
Intanto il Consiglio direttivo dell’Associazione presieduta da Pelissero ha pubblicato un durissimo documento contro il decreto legge del 31 ottobre su norma anti rave, rinvio della riforma Cartabia ed ergastolo ostativo, appunto. Su quest’ultimo punto i giuristi ritengono che «una serie di profili critici» «inaspriscono la disciplina dei c. d. reati ostativi in termini che vanno ben al di là delle indicazioni che erano state date dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 97/ 2021».
In particolare, «da parte dei detenuti o internati per uno dei reati ostativi, l'oggetto dell'allegazione si traduce in una sorta di probatio diabolica, in quanto diventa difficile, se non impossibile, addurre “elementi specifici” “che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi”».
A questo si aggiunge il fatto che «non convince il passaggio da ventisei a trent'anni di pena scontata affinché i condannati alla pena dell'ergastolo possano accedere alla liberazione condizionale: il legislatore fa un passo indietro» «anche rispetto all'originaria disciplina, introdotta con l. 25 novembre 1962, n. 1634, che aveva stabilito che l'ergastolano potesse essere ammesso alla liberazione condizionale dopo aver scontato ventotto anni di pena». Inoltre «la nuova disciplina accentua, in termini manifestamente irragionevoli, la disparità di trattamento tra detenuto collaborante e non collaborante» ; «appare altresì irragionevole l'estensione da cinque a dieci anni della durata della libertà vigilata» ; «risulta parimenti ingiustificata l'estensione del novero dei reati ostativi al di là dei fatti di criminalità organizzata, comune e terroristica».
Insomma una stroncatura netta da parte degli esperti. Che non ci vanno leggeri, anzi, neanche in merito alla norma anti- rave: per i professori di diritto penale la nuova fattispecie di reato «appare frutto di una tecnica legislativa davvero approssimativa e lacunosa, e si distingue per indecifrabilità del tipo criminoso e incontrollabilità della sfera di applicazione». Infatti «rimane imprecisato come e quando si realizzi un pericolo per l'ordine pubblico, per l'incolumità pubblica o per la salute pubblica, referenti di valore che risultano intrinsecamente affetti da irrimediabile vaghezza se non vengono tipizzate le modalità di offesa».
Per i giuristi «non si può fare, inoltre, a meno di rilevare come la previsione - quale massimo edittale della pena – della reclusione fino a sei anni comporti il fatto che, durante la vigenza del decreto- legge, possano prodursi effetti limitativi e restrittivi di diritti e libertà individuali che non sono circoscritti alla sola possibilità di effettuare intercettazioni. E la conseguenza di un evidente difetto di proporzionalità e ragionevolezza del trattamento sanzionatorio, cui si aggiunge l’ingiustificata previsione dell'obbligatorietà della confisca delle cose indicate nel comma 4».
Ma forse l’aspetto più grave e non abbastanza evidenziato nel dibattito pubblico è l’ «incongruo inserimento di questa fattispecie tra le ipotesi di pericolosità specifica di cui al codice antimafia, legittimando in tal modo persino l'applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali. In definitiva, la fattispecie di cui all'art. 434 bis c. p. pone seri dubbi di legittimità costituzionale e convenzionale, sotto i diversi profili della determinatezza, della proporzionalità rispetto al diritto di riunione, e della ragionevolezza/ proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio».
Infine, per quanto concerne il rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia, che tra l’altro prevede la riforma di diverse disposizioni del codice di procedura penale, l’Associazione esprime preoccupazione per il rinvio in blocco dell’entrata in vigore del decreto legislativo 150/ 2022, in quanto sono state coinvolte «anche le parti sulla riforma del sistema sanzionatorio penale che, non oggetto di peculiari criticità rilevate dalla dottrina e dalla prassi, avrebbe ben potuto entrare in vigore».