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Ancora un suicidio in carcere. Era da appena due giorni in carcere alle Vallette di Torino per aver tentato di rubare un paio di cuffie. E ieri si è tolto la vita impiccandosi il giovane detenuto di origine africana. Con la sua morte sono 72 i suicidi in carcere dall’inizio dell’anno, ai quali, come sottolinea il segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio, vanno «aggiunti quattro appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita».
Ma «costruire nuove carceri non risolve i problemi del sistema penitenziario e non contribuisce alla sicurezza», come scrive l’associazione Antigone in un tweet, nel quale riferisce che «solo il 38% dei detenuti è alla prima condanna, mentre il 62% di chi è in carcere c’è stato almeno un’altra volta. Il 18%, invece, in carcere c’è stato almeno altre 5 volte».
Il dibattito politico
E il tema carcere con le diverse posizioni da giorni sta interessando il dibattito politico a partire dalle dichiarazioni in Senato, il giorno della votazione di fiducia al governo Meloni. Ilaria Cucchi, senatrice di Sinistra italiana – Verdi, ha fatto un intervento molto sentito, misurato, rispettoso che facciamo anche nostro. Parliamo delle aberrazioni del carcere, delle morti, del sovraffollamento e della visione carcerocentrica della società. La risposta della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, seppur con altrettanta misura e rispetto, è la vecchia narrazione ribadita in precedenza anche dai grillini Conte e Bonafede. Stesso slogan: “costruire nuove carceri” e “certezza della pena”.
Per quanto riguarda la costruzione di nuove carceri, già è stato collaudato nel passato (e nel presente) ed è risultato fallimentare. Più ne costruisci, più si riempiono. Scenari quindi già visti e rivisti: si costruisce un nuovo contenitore, nel giro di poco si sovraffolla o si lascia inattivo per mancanza di fondi. È successo negli anni 80, poi ripetuto nel 2008, poi nel 2010, nel 2018 e anche ora con i fondi del Pnrr.
Nuove carceri: una soluzione fallimentare
Di fronte all’emergenza, la politica, vecchia e nuova, risponde con la costruzione di nuove carceri che puntualmente non bastano mai. Motivo per il quale, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) disse all’Italia che costruire nuove carceri per risolvere il problema del sovraffollamento non è la strada giusta, perché «gli Stati europei che hanno lanciato ampi programmi di costruzione di nuovi istituti hanno infatti scoperto che la loro popolazione detenuta aumentava di concerto con la crescita della capienza penitenziaria». Viceversa, «gli Stati che riescono a contenere il sovraffollamento sono quelli che hanno dato avvio a politiche che limitano drasticamente il ricorso alla detenzione».
In cella anche malati e detenuti con pene brevi
In carcere le persone ci vanno eccome, numerosi detenuti muoiono nonostante l’incompatibilità con le strutture penitenziarie. Senza calcolare che vi sono rinchiusi anche quelli con pene brevissime e che, in mancanza di alternative, sono esclusi dalla misura alternativa.
Poi c’è la “certezza della pena”. Una definizione snaturata e declinata in altro. In realtà ha un significato ben preciso e viene contemplata dall'articolo 25 della Costituzione. La "certezza della pena" consiste nel fatto che se un cittadino tiene una certa condotta, deve sapere se essa costituisca reato oppure no, e in caso positivo deve sapere quali siano le sanzioni previste. La pena è "certa" quando né il reato né la misura sono frutto dell'improvvisazione del potente di turno.
La "certezza della pena" non c'entra nulla con la visione carcerocentrica che ha ribaltato il suo alto significato costituzionale. Il neoministro della Giustizia Carlo Nordio, alla sua prima uscita pubblica, ha detto esplicitamente che la pena non è esclusivamente quella carceraria. Riuscirà a conciliarsi con la visione, e anche la maggior parte dei mezzi di informazione non aiutano in questo, del tutto errata che ha la presidente del consiglio Meloni?
L'intervento di Ilaria Cucchi
La senatrice Cucchi è stata chiara: «(…) Presidente, riconosco in lei la prima donna presidente del Consiglio, madre e - sì - anche italiana. Io le chiedo di andare a visitare, appena avrà modo, il mondo che ho avuto la fortuna di conoscere: quello del volontariato. La prego di farlo, Presidente, e sono convinta che cambierà idea su tante realtà e sulle grandi possibilità di riscatto che hanno gli ultimi, cittadini comuni, di organizzarsi spontaneamente e pacificamente tra loro per offrire ad essi stessi e ad altri una vita più sostenibile».
«Ultimo, ma non ultimo ovviamente, è il tema del mondo delle carceri, dove lo Stato è fin troppo spesso "assente" ed uso un eufemismo. Sono luoghi di vita e di lavoro, piegati dalla sofferenza per le condizioni disumane in cui sono costretti a sopravvivere agenti e detenuti abbandonati dallo Stato, che preferisce di fatto metterli in guerra gli uni contro gli altri piuttosto che operare riforme serie per una giusta e doverosa riqualificazione dei diritti e delle vite di tutti coloro che sono costretti a starci insieme.
Sarebbe fin troppo semplice intervenire per lo Stato, che viceversa pare preferire il concetto delle carceri come discarica sociale, piuttosto che come luogo di rieducazione e offerta di nuove possibilità. Così si innescano vere e proprie situazioni esplosive, alle quali lo Stato risponde solo ed esclusivamente con l'unico mezzo che pare conoscere: la repressione. I settantuno suicidi dall'inizio dell'anno sono una tragedia, segno di un modello penitenziario in crisi. Parlando di carcere non si può non partire dall'articolo 27 della Costituzione, scritto da chi aveva subito la prigionia durante il fascismo.
Quell'articolo non va cambiato, signor Presidente, ma va pienamente applicato. Il sistema penitenziario italiano non ha bisogno di più carceri, signor Presidente, ma di carcere migliori e di meno detenuti. Ben venga ogni riforma del codice penale che depenalizzi e riduca il carcere ad estrema ratio. Presidente Meloni, questo sistema non lo ha certo creato lei, ma nel suo programma non vedo una sola parola tesa in tal senso. Anche per questo non voterà la fiducia, ma vi invito a tenere in considerazione le mie parole.
Concludo, signor Presidente. Voglio entrare in quest'Aula con le parole di una donna a cui dobbiamo molto e che onora il Senato, le parole della senatrice Liliana Segre: «L'indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l'apatia morale di che si volta dall'altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo». Devo ringraziarla, senatrice Segre, perché in questo passo c'è la forza di un messaggio che può cambiare il mondo e che a me ha cambiato la vita: non voltarsi mai dall'altra parte; affrontare le ingiustizie anche a rischio di pagare un prezzo carissimo - come è accaduto a me - come quello della propria vita e serenità; scegliere il giusto e il bene comune, come ha fatto lei e come abbiamo il compito, colleghi, di fare oggi tutti noi. Buon lavoro».