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Gratteri Dap
Il potere controlla i media. Si sa. E poi, nell’altra metà campo, c’è l’indipendenza di noi giornalisti. Tra i due fattori, libertà e potere, c’è sempre una dialettica, dagli esiti variabili. Ma qualcosa cambierebbe nel momento in cui il potere che controlla tv e giornali fosse un potere criminale. Ecco, c’è una differenza. Un conto è il condizionamento delle grandi banche, dei grandi interessi, inevitabilmente dotati delle risorse per comprare quotidiani e altri mezzi d’informazione. Ma se l’editore è la mafia o la ’ndrangheta, cambia parecchio.E pure in un Paese come il nostro, in cui l’intreccio oscuro degli interessi è una suggestione intramontabile, ancora non siamo arrivati al punto di trovare giornali finanziati dalla malavita. O meglio: non c’eravamo ancora arrivati. Fino a un paio di giorni fa, quando Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, si è trovato a conferire davanti a una platea di imprenditori vicentini a Schio, radunati dal locale Lions club e, secondo il report del quotidiano “L’identità”, ha detto: “Se le mafie anziché acquistare aziende cominciano a comprare, o hanno già comprato, pezzi di giornali e televisioni, lo fanno per manipolare l’opinione pubblica. Vogliono indirizzare il pensiero della gente”. Ha quindi aggiunto: “Nel dibattito politico non si parla più di contrasto alla mafia. Non avverto più la tensione morale di un tempo”. Quasi a voler condividere l’idea che il fenomeno dell’editoria criminale già è avanzatissimo e produce i suoi devastanti effetti. Nessuno, finora, ha reagito. E un po’ restiamo interdetti pure noi. Ci sono dunque colleghi, direttori, testate, al soldo delle mafie. Sono rimasti interdetti tutti, tanto che nessuno ha replicato, né dal mondo dell’informazione né da altre parti. Su una frase gravissima come quella di Gratteri potrebbe muoversi, oltre alle rappresentanze istituzionali e sindacali di noi giornalisti, anche la Procura nazionale antimafia, che coordina le informazioni investigative particolarmente quando provengono da uffici giudiziari diversi. Certo c’è un’altra possibilità. E cioè che sulla gigantesca e finora sottostimata denuncia di Gratteri – la mafia ha i suoi giornali e le sue tv – continui il silenzio. Vorrebbe dire che si dà per scontata una cosa, a proposito del procuratore di Catanzaro: che in qualche caso può anche volutamente esasperare il grado dell’allarme.Può essere un modo per tenere alta la vigilanza sull’illegalità, sul diffondersi del crimine. Ma in questo caso siamo noi giornalisti, per una volta, ad avere il diritto di essere informati. Di sapere se davvero alcuni di noi sono soldatini delle cosche, stipendiati da chi è passato dalle stragi agli investimenti. Se c’è qualcosa di concreto, in quella denuncia, non chiedeteci di indagare su noi stessi. Se c’è qualcosa di accertato (non di ipotizzabile, ma di accertato) fateci leggere le carte. Su una cosa del genere, anche Gratteri ne converrà, il decreto sulla presunzione d’innocenza non imporrebbe alcun divieto.