Si era capito: la giustizia non poteva trasformarsi in un ulteriore fronte caldo della maggioranza. Non in una fase in cui la premier in pectore Giorgia Meloni è già assediata dalle emergenze. E così ieri, prima che iniziasse la riunione dei parlamentari eletti con Fratelli d’Italia,
Carlo Nordio ha chiarito che il suo eventuale programma da guardasigilli non avrebbe certo come obiettivo il conflitto con le toghe: «Bisogna almeno per ora lasciar da parte tutte le situazioni più divisive anche con la magistratura. Credo che in questo momento l’urgenza fondamentale sia economica, quindi ogni riforma che riguardi la giustizia deve mirare a recuperare risorse. La cosa più importante da fare», ha detto Nordio, «è rendere la giustizia più efficiente e più rapida».
Così l’ex procuratore aggiunto di Venezia mostra di adattarsi a un clima diverso da quello che aveva accompagnato il centrodestra verso la vittoria del 25 settembre. Basterebbe rileggere le interviste date dallo stesso Nordio nelle settimane che hanno preceduto il voto e confrontarle con le parole di ieri, affidate alla web tv del Fatto quotidiano. Se da candidato al Parlamento l’ex pm batteva sulla necessità di riformare le carriere dei magistrati e introdurre l’inappellabilità delle assoluzioni, da parlamentare eletto le cose cambiano. Sembra essersi imposta
la vera prospettiva di Giorgia Meloni sulla giustizia: riforme sì ma senza strappi. Senza pretendere di introdurre, già nei primi mesi di vita dell’esecutivo, elementi di rottura. Non perché siano usciti dall’orizzonte del centrodestra la separazione delle carriere o il sorteggio per i togati del Csm. Semplicemente, la guerra, la conseguente crisi energetica ed economica, non consentono di disperdere le forze.È chiaro che le parole di Nordio sono il riflesso dei discorsi che circolano all’interno di Fratelli d’Italia: non complichiamo una situazione già difficile. Si tratta anche di un messaggio per l’Anm, che alla fine di questa settimana celebra il proprio congresso, e che non può diventare subito un problema per il futuro governo Meloni. Ma è difficile dire se la linea meno “rivoluzionaria” prospettata da Nordio davanti alle telecamere del Fatto quotidiano certifichi una sua imminente indicazione a ministro della Giustizia. È vero che il suo nome è il primo tra quelli che la leader della destra considera per il dicastero di via Arenula. Ma è anche vero che nei colloqui con Forza Italia e Lega non è ancora scontata l’assegnazione della Giustizia a Fratelli d’Italia. Tanto che nel vertice di Arcore Silvio Berlusconi ha avanzato, per la carica di guardasigilli, un’ipotesi fino a quel momento tenuta nascosta:
Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente uscente di Palazzo Madama ma anche protagonista, due consiliature fa, di un apprezzatissimo mandato da laica al Csm. Avvocata, è naturalmente un nome che avrebbe tutti i numeri per aspirare alla successione di Marta Cartabia.
D’altra parte, se la prospettiva sulla giustizia è quella di lavorare sull’efficienza e sui tempi dei giudizi anziché su riforme che “sconvolgerebbero” l’ordinamento, restano elevate anche le chance di
Francesco Paolo Sisto. Da sottosegretario alla Giustizia nella legislatura appena conclusa è stato lui a occuparsi delle leggi delega sul Csm e sul processo, sia civile che penale, e dei successivi testi di attuazione. Ha seguito le commissioni ministeriali istituite da Cartabia prima per proporre modifiche ai ddl base di Bonafede e poi per scrivere materialmente i decreti legislativi. Tutte norme ispirate ai vincoli di efficienza dettati dal Pnrr. In una prospettiva sulla giustizia pragmatica prima ancora che “rivoluzionaria”, Sisto avrebbe dalla sua carte che forse neppure Nordio può vantare. Si vedrà. Ieri l’ex procuratore aggiunto di Venezia ha preferito schernirsi. Dopo la riunione dei parlamentari con Meloni, ha così risposto a chi gli chiedeva se sarà lui il nuovo guardasigilli: «Ci sono moltissime persone che possono farlo anche meglio di me». E poco prima, al Fatto quotidiano tv, aveva ricordato che la scelta resta una «prerogativa del presidente della Repubblica su indicazione del presidente del Consiglio». Anche se, qualora fosse chiamato da Meloni, si comporterebbe da «servitore dello Stato». E su tutto, quella piattaforma declinata con parole inequivocabili: «In questo momento occorre recuperare efficienza e risorse, con gli uffici giudiziari che sono al collasso, e questo rallenta i provvedimenti civili, penali e gli investimenti degli stessi italiani, non solo degli stranieri». Con la chiosa finale: «Penso che il mio contributo sarà nell’ambito della giustizia». E ad oggi è questa la sola certezza.