PHOTO
Caiazza giustizia
Si apre oggi a Pescara il congresso straordinario dell’Unione Camere penali, evento che terminerà domenica. Non si voterà per un nuovo vertice ma si farà il punto sul futuro della giustizia e dell’esecuzione penale alla luce di diverse novità: un nuovo governo, un nuovo Consiglio superiore della magistratura, la riforma penale appena approvata. Interverranno i responsabili Giustizia dei partiti, il capo del Dap Carlo Renoldi, l’ex guardasigilli nonché presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick, accademici e, ça va sans dire, avvocati. Ne parliamo con il leader dei penalisti italiani, Gian Domenico Caiazza.
Che giudizio dà dell’esito elettorale?
Il voto è chiarissimo: il Paese ha scelto di essere guidato da un Governo di centrodestra, trainato da Fratelli d’Italia.
Come si ripercuote questo nell’ambito della giustizia?
Lo vedremo subito. Se vogliamo fare affidamento, come facciamo, sugli impegni assunti dalle forze politiche che hanno risposto ad un nostro appello su alcuni temi fondamentali della giustizia, possiamo essere ottimisti. Abbiamo una maggioranza parlamentare assoluta, a prescindere dall’assetto di governo, favorevole alla separazione delle carriere e anche all'inappellabilità delle sentenze di assoluzione, e c’è pure una consistente maggioranza per ritornare sul tema della prescrizione ante- Bonafede. Ora bisognerà vedere se verranno rispettati questi impegni e come verranno eventualmente declinati.
Ci faccia un esempio.
Sulla separazione delle carriere, noi, ma non solo noi, pensiamo che l’unica riforma sia quella costituzionale. Qualunque altra idea di riforma con legge ordinaria ci farebbe ricadere nella separazione delle funzioni, senza superare quello stesso equivoco che ha caratterizzato i recenti referendum.
Marcello Pera, probabile nuovo ministro per le Riforme, già nel lontano 1997 depositò un ddl di riforma costituzionale proprio sulla separazione.
Mi fa molto piacere. Ricordo che sulla questione giace, in commissione Affari costituzionali alla Camera, una nostra più recente proposta di legge di iniziativa popolare sottoscritta da oltre 72mila cittadini.
Tornando agli appelli alle forze politiche: l’Ucpi lo inviò a tutti tranne che a Giuseppe Conte. Visto il risultato elettorale che non li ha polverizzati occorrerà riaprire un dialogo anche con il Movimento Cinque Stelle?
Decidemmo di non inviarlo a lui non in base a calcoli elettorali o di peso politico. In questi anni abbiamo semplicemente preso atto che il Movimento rivendica legittimamente posizioni totalmente inconciliabili con le nostre. Rispettando questa distanza incolmabile, abbiamo ritenuto di non perdere tempo. Che abbiano il 10 o il 15 per cento di consensi a noi non cambia nulla.
Veniamo alla tre giorni di Congresso pescarese. Lei interverrà domani. Ci anticipa qualcosa del suo discorso?
Farò il quadro di quello che come Unione abbiamo fatto ed evitato che accadesse. Parlerò dell’importante dato storico dei governi populisti che ci siamo lasciati alle spalle; delle delusioni importanti che abbiamo segnalato in riferimento ai decreti delegati della riforma del processo penale. Infine ragionerò in prospettiva in base al quadro parlamenta-re delineatosi dalle recenti elezioni. C’è un nuovo problema che noi avremo con la maggioranza politica.
Quale?
È il tema dell’esecuzione della pena. Se è vero che abbiamo intitolato il congresso “La giustizia oltre il populismo penale”, non si può nascondere d’altra parte che sul tema del carcere il populismo penale rientri dalla finestra. Le parole d’ordine che sentiamo sono allarmanti e mi riferisco, ad esempio, a “certezza della pena è certezza del carcere”. “Certezza della pena” è un principio illuminista e liberale che non ha nulla a che vedere con il “buttare la chiave”. Preso atto, in disaccordo, del fatto che taluni sostengono di essere garantisti sul processo e giustizialisti per l’esecuzione penale, il compito dei penalisti italiani dovrà essere quello di confrontarsi, convincere, modificare questi punti di vista. Ci siamo confrontati persino con Bonafede, lo faremo anche adesso con i nuovi interlocutori.
Fonti della Lega ipotizzano che il capo del Dap Carlo Renoldi possa essere rimosso appena si insedierà il nuovo governo. Difenderete quindi la sua permanenza?
Renoldi, che interverrà quale relatore al nostro congresso, è un interlocutore di grande qualità che va preservato e difeso.
Un panel molto interessante è quello dal titolo “Il difensore di fronte alle nuove restrizioni dei decreti attuativi”. Interverranno il consigliere della ministra Cartabia, Gian Luigi Gatta, gli avvocati Petrelli e Mazza, la professoressa Marandola.
Come lei sa, abbiamo scritto un documento molto duro contro i decreti delegati che, in forza anche della genericità di alcune deleghe, hanno svuotato ciò che di buono c’era nella riforma. Questo è quanto accaduto. Ora occorre intervenire nuovamente sui decreti delegati. Questa possibilità la offre la norma stessa che prevede che nei due anni successivi all’approvazione si possano apportare delle modifiche, sempre ovviamente nel rispetto della delega. Quindi noi dobbiamo aprire un grande dibattito dottrinale e politico innanzitutto con questo obiettivo. Poi dovremmo strutturare delle iniziative degli avvocati nei processi.
Ci spieghi meglio.
Dovremmo sollecitare interpretazioni, sollevare questioni di legittimità costituzionale, in questo con l’ausilio anche dei nostri Osservatori, perché ci sono norme che possono essere aggredite subito. Basti pensare alla norma sulla improcedibilità per quanto riguarda i poteri di deroga del termine di maturazione della prescrizione in appello affidati a criteri unilaterali formulati dal giudice in modo del tutto arbitrario.
Ci sarà anche un panel dal titolo “Ordinamento giudiziario: la riforma inutile”. Tra gli ospiti l’ex presidente dell’Anm Eugenio Albamonte.
Mentre sulla riforma del processo abbiamo interloquito con la ministra Cartabia, per quanto riguarda la riforma dell’ordinamento giudiziario la nostra voce non è stata ascoltata. Dal nostro punto di vista, come abbiamo sottolineato anche con il titolo del panel, si tratta di una riforma inutile perché non è centrata sulle questioni che noi riteniamo cruciali.