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Sono iniziate oggi le “operazioni di voto” per il referendum che dovrà stabilire se quattro regioni dell'Ucraina occupate dai russi diventeranno parte della Federazione. Urne aperte nelle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetsk, controllate dai separatisti sostenuti da Mosca dal 2014, così come nelle province meridionali di Kherson e Zaporizhia. Il referendum si concluderà martedì 27, poi lo spoglio. Ci sono pochi dubbi sull'esito finale, non solo per la mancanza di osservatori internazionali e del riconoscimento di Kiev, ma pesa soprattutto la pressione militare russa e forse anche il sentimento delle popolazioni locali russofone che però mai avevano espresso il desiderio di essere annesse alla Russia. Il referendum contrariamente a quanto si pensava è stato allestito in fretta e furia nel bel mezzo della controffensiva ucraina. Una coincidenza non casuale che risponde ad una precisa strategia. Il voto infatti va visto come una significativa escalation della guerra iniziata sette mesi fa e che ha provocato migliaia di morti tra militari e civili oltre a milioni di sfollati. Il passaggio delle quattro regioni sotto il controllo amministrativo del Cremlino consentirebbe a Mosca di considerare come parte della propria continuità territoriale. La conseguenza di ciò è abbastanza chiara e da giorni numerosi commentatori, anche russi, lo spiegano. La Russia sarà in grado di affermare che il suo territorio è sotto l'attacco delle armi fornite dalla NATO e da altri paesi occidentali all'Ucraina. Con la mobilitazione parziale di altri 300mila riservisti in più, può difendere una linea del fronte di 1000 km (il 15% in piu di suolo). Il Cremlino ha quindi criminalizzato la diserzione, la resa e l'assenza senza permesso durante la mobilitazione. Mosca dunque potrebbe reagire nelle maniere che riterrebbe più opportune senza porsi nessun limite, da qui l'annuncio circa il paventato uso delle armi atomiche. I referendum sono stati condannati dalle Nazioni Unite e dai leader mondiali, tra cui il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente francese Emmanuel Macron, nonché da organismi internazionali come la NATO, l'Unione europea e l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). E' ancora fresco infatti il ricordo di un altro referendum che portò la Crimea sotto la tutela russa nel 2014. In quel caso il Cremlino ha rivendicato un 96,7% di sostegno, un rapporto trapelato dal Consiglio per i diritti umani della Russia avrebbe invece rivelato che voto solo il 30% e che appena la metà ha sostenuto l'annessione. Ma soprattutto in Crimea si andò alle urne in un clima pacifico, ora invece le votazioni si tengono nel bel mezzo della controffensiva ucraina. Tanto è vero che a causa della breve scadenza annunciata e per la mancanza di attrezzature si è rinunciato al voto elettronico e verranno usate le schede cartacee. Le autorità andranno porta a porta per i primi quattro giorni per raccogliere le preferenze, e i seggi elettorali apriranno solo l'ultimo giorno. Gli stessi quesiti non sono posti nella stessa maniera in tutte e quattro le regioni dove si vota. A Donetsk e Luhansk i residenti dovranno rispondere se sostengono «l'ingresso della loro repubblica in Russia.» La domanda sulle schede elettorali a Kherson e Zaporizhzhia e formulata in modo diverso: «Sei a favore della secessione dall'Ucraina, della formazione di uno stato indipendente da parte della regione e della sua adesione alla Federazione Russa come soggetto della Federazione Russa?». Rimane la situazione sul campo che contribuisce a rendere poco credibile il risultato del referendum. La Russia controlla la maggior parte di Luhansk e Kherson, circa l'80% di Zaporizhzhia e solo il 60% di Donetsk. Inoltre il voto è completamente illegale per la legge costituzionale ucraina per cui una consultazione elettorale può tenersi solo se approvata dal parlamento di Kiev. Il voto dunque appare come una pericolosa farsa gravida di conseguenze nefaste.