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Quanto dura uno scandalo? Due ore? Mezza giornata se è estate e le settimane sono fiacche? Uno degli ultimi riguarda l’aborto e le Marche. E va benissimo che si parli di aborto volontario e della mediocre applicazione della legge 194 perché è un diritto fondamentale e se dipende da chi ti capita è un guaio. Ma serve a qualcosa indignarsi? E per cosa ci siamo indignati? Come si esce dal meccanismo scandalo-indignazione-inutilità? Abbiamo più domande che risposte, ma fare le domande giuste forse è la prima condizione. Non sufficiente me necessaria per non infilarci in un vortice di vani e apocalittici inviti a vergognarsi. E allora andiamo per ordine. Per sapere com’è applicata le legge che regola l’aborto volontario dovremmo avere dati aggiornati e relativi a ogni ospedale. Non ce li abbiamo, e questo è ovviamente un problema. Il Ministero della salute, quando si ricorda, pubblica la relazione di attuazione, ma rimane in superficie, aggregando quei dati in medie regionali. Ma non si abortisce in una Regione, lo si fa in una struttura. Oggetto di scandali ricorrenti ed evanescenti è la percentuale di ginecologi obiettori di coscienza. La media nazionale è del 64,6, con alcune regioni che superano l’80 (come l’Abruzzo, il Molise o la Sicilia; dati disponibili nell'ultima relazione ministeriale). Non ci basta sapere qual è la percentuale di obiettori perché le conseguenze di quella percentuale dipendono dai numeri totali del personale (è diverso il 50% di 1000 e di 2), dal territorio (quanti ospedali e dove) e dal numero di richieste delle donne. Dovremmo avere la possibilità di aprire tutti i criteri che il Ministero usa per la sua relazione e forse aggiungerne altri. Ma quei dati devono essere aperti e aggiornati, mentre ora sono imprigionati in un pdf e sono del 2020. Quindi se io volessi sapere dove posso abortire o se io volessi scegliere in quale ospedale andare che cosa potrei fare? Forse provare a telefonare, ma non è detto che avrei una risposta soddisfacente. Ma perché poi non si possono avere quelle informazioni in modo meno complicato? È come per l’aborto farmacologico: deve essere più difficile possibile, tipo giochi senza frontiere. Tipo le dodici fatiche di Ercole. Sull’aborto farmacologico si sono forse concentrate le sciocchezze più lunari: è pericoloso, banalizza l’aborto, le donne muoiono. A parte che è più rischioso partorire di abortire – e che non esiste nulla privo di rischi, nemmeno non fare nulla –, la condanna dell’aborto farmacologico perché renderebbe troppo facile abortire è surreale. Nessuno consiglierebbe di scoraggiare un rimedio farmacologico per un’ulcera. Perché non possiamo avere dati aperti e aggiornati? Perché è così difficile sapere se l’aborto farmacologico è disponile davvero? Che poi è lo stesso Ministero ad aver pubblicato le linee di indirizzo sul farmacologico nel 2020, perché non ha mai controllato se e dove sono state recepite? Questa è una delle domande che abbiamo fatto io e Sonia Montegiove (“Mai dati. Dati aperti sulla 194”, Fandango), ma non tutte le regioni ci hanno risposto.