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«Ciao, come stai? Ti chiamo perché volevo dirtelo di persona». Dopo averlo annunciato sui giornali e sulla sua pagina Facebook, Giuseppe Conte si attacca al telefono e chiama ogni deputato e ogni senatore arrivato alla fine del percorso parlamentare. Dopo dieci anni dentro il Palazzo, ognuno dovrà tornare alla vita di prima: chi aveva un impiego al proprio impiego, chi non lo aveva dovrà ricominciare a cercarne uno. Beppe Grillo ha deciso, è stato irremovibile: la regola sul limite dei mandati è intoccabile. E il presidente del partito non ha potuto far altro che adeguarsi, per non rischiare di vedersi sottrarre l’uso del simbolo a poche settimane dalle elezioni. «Che farai ora?», chiede Conte a una deputata pentastellata. «Avevi un lavoro? Posso darti una mano a ricollocarti?», aggiunge, preoccupandosi per il destino di decine di persone che da domani torneranno a vestire panni borghesi. «Purtroppo non sono riuscito a convincere Beppe sulle deroghe, del resto sarebbe stato complicato fare “figli e figliastri”», prova a consolare i trombati l’avvocato. Eppure, Conte non sembra essere troppo dispiaciuto per il diktat del “garante”, o almeno questa è la convinzione di buona parte dei congedati. L’ex premier avrebbe colto al balzo un’occasione unica: liberarsi di Gruppi parlamentari che non hanno mai riconosciuto fino in fondo la sua leadershisp, addossando la responsabilità a un altro, all’indiscutibile “elevato”. Certo, l’avvocato avrebbe sinceramente voluto salvare almeno un pugno di big, ma ha preferito sacrificare tutti pur di non cimentarsi in un braccio di ferro pericoloso con Grillo. Oltre a una marea di peones, che comunque per dieci anni hanno passeggiato a petto in fuori in Transatlantico, dovranno dire addio alla politica che conta esponenti di primo piano del Movimento 5 Stelle, donne e uomini che hanno gestito potere e ricoperto ruoli prestigiosi. Quello di Roberto Fico è forse il nome più roboante. Per lo storico attivista dei meet up napoletani diventato presidente della Camera, da sempre l’anima di sinistra del partito, non c’è stato nulla da fare. Gli sforzi dell’ex premier per ottenere una deroga sono stati vani. Niente da fare neanche per Alfonso Bonafede, l’inventore del Conte politico, che da discusso ministro della Giustizia nel governo giallo-verde ha osservato il Paese dalla poltrona che fu di Palmiro Togliatti. Torna a casa anche Paola Taverna, la pasionaria vice presidente del Senato (e del Movimento), tra i fedelissimi del leader, e volto storico del partito. Forse tornerà a fare l’assistente giudiziario a Brescia il disciplinato Vito Crimi, già sottosegretario e vice ministro, primo capogruppo al Senato della storia pentastellata, uomo disponibile a prendere la “croce” della reggenza dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico nell’ormai lontanissimo gennaio 2020. Ma l’elenco dei volti noti è lunghissimo, tra i sommersi ci sono ex ministri come Riccardo Fraccaro, Giulia Grillo, Nunzia Catalfo e Danilo Toninelli. Ma anche ministri in carica come Fabiana Dadone e Federico d’Incà, sottosegretari come Carlo Sibilia e Giancarlo Cancelleri, presidenti di Commissione come Giuseppe Brescia e la vice presidente del Copasir Federica Dieni. Per tutti loro non esisterà nemmeno la scappatoia di un giro supplementare al Parlamento europeo, in Regione o in un Comune: ogni mandato elettivo conterà e non saranno ammesse deroghe di alcun tipo. Una decisione che mette fuori dai giochi anche Virginia Raggi - alla terza consiliatura, grazie alla regola del mandato zero riconosciuta ai soli consiglieri comunali - e l’assessora regionale laziale, nonché compagna di giochi di Crimi all’epoca dello streaming con Bersani, Roberta Lombardi. I big al primo mandato a salvarsi saranno in pochi, a cominciare dal ministro dell’Agricoltura e capodelegazione 5S al governo Stefano Patuanelli. Saranno della partita anche la capogruppo a Palazzo Madama Mariolina Castellone e il vice di Conte alla guida del partito Riccardo Ricciardi. Ma per tanti che andranno qualcuno tornerà. È quasi certa, infatti, la candidatura di Chiara Appendino, l’ex sindaca di Torino condannata sì in primo grado per i fatti di Piazza San Carlo, ma per reati colposi che rendono possibile la discesa in campo secondo le regole pentastellate. E a questo punto, col Movimento tornato all’ortodossia, ci sarebbero tutte le condizioni anche per un ritorno in grande stile di Alessandro Di Battista. Le uniche perplessità, in questo caso sono però di Conte, costretto a scegliere tra la possibilità di contare su un ariete da campagna elettorale e il rischio di ritrovarsi un potenziale competitor interno per la leadership. Forse, prima di decidere, l’avvocato farà un altro giro di telefonate.