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Cedu, Corte europea dei diritti umani
La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia per aver violato i diritti di un giovane migrante del Gambia, scambiato e trattato come un adulto nonostante lui affermasse di essere un minore. Il giovane, sbarcato in Sicilia il 29 giugno 2016, è stato chiuso in un centro d'accoglienza, allora sovraffollato, per oltre quattro mesi, finendo per essere vittima di trattamenti inumani e degradanti e della violazione del suo diritto alla vita privata. Nonostante la capacità del centro di accoglienza fosse di 542 persone, le persone presenti erano oltre 1.400 al momento del suo soggiorno. Un centro sfornito di riscaldamento e acqua calda, con un numero di bagni e di banchi mensa insufficiente, poche attività educative e ricreative e solo 25 persone ad assistere i migranti. Inoltre, nel centro circolavano coltelli, alcol e narcotici e durante il suo soggiorno si sono verificati episodi di violenza e prostituzione. Inadeguati anche l’assistenza sanitaria, compresa quella psicologica, e l’accesso alle informazioni e all’assistenza legali. Il giovane era stato sistemato nel centro di accoglienza a seguito di un esame radiografico del polso e della mano, alla luce della quale era stato considerato adulto. Solo quattro mesi dopo, grazie all'intervento di alcuni avvocati, e in seguito della Corte di Strasburgo, il ragazzo ha ottenuto un secondo esame, che questa volta ha rivelato la sua vera età, ottenendo il trasferimento presso un centro per minori. La Cedu ha stabilito ora che lo Stato dovrà versargli 7.500 euro per danni morali e altri 4mila per le spese legali sostenute. Il giovane non ha infatti beneficiato «delle garanzie procedurali minime» e il suo collocamento in un centro di accoglienza per adulti per più di quattro mesi «ha pregiudicato il suo diritto allo sviluppo personale e all'instaurazione e sviluppo di relazioni con altri. Ciò avrebbe potuto essere evitato se il richiedente fosse stato collocato in un centro specializzato o presso genitori affidatari», misure adottate solo dopo «un considerevole lasso di tempo». Le autorità italiane, dunque, «non hanno agito con ragionevole diligenza e quindi non hanno rispettato il loro obbligo positivo di garantire il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata». E l'accresciuto afflusso di migranti e richiedenti asilo «non esonera gli Stati membri del Consiglio d'Europa dai loro obblighi ai sensi» dell’articolo 3 della Convenzione, secondo cui «nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni inumani o degradanti».