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Qualche mese fa durante un convegno il professor Glauco Giostra ha osservato: «Non avete notato che si dice “Giustizia è fatta!” solo quando c'è un verdetto di condanna? Assolvere non equivale mai a fare giustizia». Questa considerazione è attualissima se pensiamo a cosa è accaduto dopo la sentenza di primo grado che venerdì scorso ha assolto l'intera famiglia Mottola dall'accusa di aver ucciso ventuno anni fa la giovane Serena Mollicone. Appena i giudici della Corte di Assise di Cassino hanno terminato la lettura del dispositivo in Aula si sono udite urla contro i togati - «Vergogna, vergogna» - e contro gli imputati - «Assassini, vergogna, come fate a dormire stanotte?» -, mentre fuori dal Tribunale sia i Mottola che i loro avvocati e consulenti hanno rischiato un vero e proprio linciaggio: sono stati aggrediti dalla folla inferocita con spintoni e sputi e la situazione si è resa talmente incandescente che sono dovute intervenire le forze dell'ordine per creare un cordone intorno a loro per condurli nella sede dove era stata programmata una conferenza stampa. Come ha detto l'avvocato Francesco Germani, a capo del pool difensivo: «È molto triste vivere in un Paese dove per fare una conferenza stampa bisogna essere scortati dalla polizia, è molto triste ed amaro vivere in un Paese che non rispetta le sentenze dei giudici perché si ritiene da parte dei più che giustizia significhi solo condannare. Giustizia vuol dire riconoscere colpevole chi è colpevole e riconoscere innocente chi è innocente». Il criminologo Carmelo Lavorino ha annunciato che presenteranno «un esposto-querela alla Procura di Cassino con la richiesta di individuare i responsabili e i loro mandanti e di punirli. Questo è il risultato del clima d'odio creato ad arte dal Comitato d'Affari del giallo di Arce e di qualche soggetto nemico della verità e del vivere civile. Altresì denuncio gli insulti, le offese e le intimidazioni rivolte ai Giudici togati e popolari che hanno assolto i cinque imputati, ulteriore esempio del clima di intolleranza, di minaccia e di violenza creato ad arte». Aggiungeremmo anche "esempio di ignoranza" del processo penale. Fin quando non capiremo le sue regole e le sue differenze con la verità storica, da cui talvolta si discosta, troveremmo sempre piazze inferocite contro le sentenze di assoluzione. E in questa partita un ruolo importante lo ha anche la stampa. Molti colleghi hanno commentato la decisione dei giudici di Cassino con parole simili a quelle delle tricoteuse dei social e della piazza reale che ha inveito contro gli imputati: «Vergogna per una giustizia che non fa giustizia su Serena Mollicone - Serena uccisa una seconda volta - Si fa davvero fatica a credere fino in fondo nella giustizia, dopo una sentenza del genere». Le sentenze si possono certamente criticare e anche chi scrive è rimasto deluso perché quel terribile delitto è rimasto insoluto e forse lo rimarrà per sempre. Però chi nella stampa si occupa di cronaca giudiziaria dovrebbe, prima di esprimere un parere, spiegare ai lettori e al pubblico televisivo quali sono le regole del processo. Evidentemente in questo caso la procura della Repubblica di Cassino non è riuscita a provare la sua tesi di colpevolezza e nel contraddittorio tra le parti ha prevalso la ricostruzione della difesa. Questo è il processo penale che è altra cosa dalla realtà. Non si possono mandare in carcere persone senza prove ed è inutile gridare allo scandalo: se si sapesse come funziona il processo in Aula non ci si stupirebbe. A non placare gli animi ci ha pensato un comunicato della procura della Repubblica che ha suscitato molte perplessità tra gli addetti ai lavori. Alla luce della norma di recepimento della direttiva sulla presunzione di innocenza ci si chiede se ci sia l'interesse pubblico alla divulgazione. Forse sì, data la rilevanza del caso. Ma il contenuto è appropriato? Molto probabilmente no. La Procura «prende atto della decisione della Corte d'Assise» che «nella sua libertà di determinazione ha scelto». E ci mancherebbe altro. Poi sembra volersi giustificare: «È stato offerto tutto il materiale probatorio che in questi anni tra tante difficoltà è stato raccolto. La procura non poteva fare di più. Gli elementi a sostegno dell'accusa hanno superato l'esame dell'udienza preliminare». Sappiamo bene cosa sia l'udienza davanti al gup, tanto è vero che la riforma Cartabia del processo penale è intervenuta per cambiare la regola di giudizio e rafforzare il potere di filtro del giudice per evitare dibattimenti inutili. Ed infine: «Sarà interessante leggere le motivazioni sulle quali si farà un analitico e scrupoloso esame per proporre le ragioni dell'accusa innanzi al giudice superiore». I pubblici ministeri sbraitano tanto contro la separazione delle carriere perché essa pregiudicherebbe la comune appartenenza alla cultura della giurisdizione con i giudici, ma questo comunicato conferma che non c'è traccia di tale condivisa cultura: con esso, a prescindere dalle motivazioni, la procura contesta la decisione dei giudici e in un'ottica prettamente di parte processuale annuncia già ricorso in appello.