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Renzi
Matteo Renzi presenta un nuovo esposto contro i pm fiorentini titolari dell’inchiesta sulla Fondazione Open. Al centro delle rimostranze del leader di Italia viva c’è l’invio al Copasir, da parte del procuratore aggiunto Luca Turco, di materiale relativo all’indagine e che la Cassazione aveva ordinato espressamente di restituire a Marco Carrai - ex componente del Consiglio direttivo di Open - «senza trattenimento di copia dei dati», in quanto frutto di un sequestro illegittimo. Con il suo esposto, dunque, Renzi ha chiesto al procuratore di Genova Francesco Pinto di verificare l’eventuale sussistenza dei reati di abuso d’ufficio, rifiuto d’atti d’ufficio e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, tutti procedibili d’ufficio. Ma non solo: l’ex presidente del Consiglio ha anche chiesto di essere sentito, per esporre nel dettaglio i fatti contestati.
«Nel materiale inviato dal dottor Turco al Copasir vi sarebbero anche documenti che riguardano il sottoscritto - ha sottolineato Renzi -, ma che la Corte di Cassazione aveva già deciso di eliminare dal fascicolo con decisione assunta in data 18 febbraio». Nel caso in cui tali documenti fossero stati realmente inviati al Copasir, afferma dunque Renzi, «saremmo davanti ad un fatto gravissimo. L’invio ai membri del Copasir arreca un danno ingiusto al sottoscritto perché in violazione di un preciso ordine della Suprema Corte - veniva fatto circolare materiale illegittimamente acquisito, che doveva essere restituito al proprietario, senza alcuna possibilità di conservazione da parte dell’Ufficio che, anzi, avrebbe dovuto ordinare la distruzione delle copie in suo possesso. Il fatto che questo materiale contenesse informazioni sensibili quali messaggistica, corrispondenza e documenti del sottoscritto era evidente come è palese che, almeno in questo caso, non possa sussistere alcun dubbio sull’elemento psicologico: il Procuratore sapeva che quel materiale andava distrutto, sapeva che riguardava (anche) il sottoscritto, sapeva che avrebbe creato un pregiudizio alla mia persona e alla mia attività politica oltre che alla mia reputazione professionale».
Renzi aveva già presentato un esposto contro l’ex procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, l’aggiunto Turco e il sostituto Antonino Nastasi contestando l’abuso d’ufficio: secondo il senatore di Rignano sull’Arno, infatti, i magistrati avrebbero aggirato le guarentigie parlamentari (fatto confermato anche dal Senato, che ha sollevato il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale), sequestrando quattro mail ricevute da Renzi nell’agosto 2019, a lui inviate da Carrai e acquisite senza previa autorizzazione del Senato, una nota della polizia giudiziaria in cui si riferisce del decreto di acquisizione del suo intero estratto conto bancario del periodo 2018- 2020, firmato l’ 11 gennaio 2021, l’acquisizione dei messaggi Whatsapp scambiati con l’imprenditore Vincenzo Ugo Manes in occasione di un viaggio a Washington nella tarda primavera del 2018 e quelli scambiati con Carrai.
Il primo giugno, però, il gip ha archiviato la denuncia: secondo il giudice, le chat intercorse tra Vincenzo Manes e Renzi, nonché quelle tra Marco Carrai e il leader di Italia Viva sono utilizzabili in quanto «non si tratta evidentemente di sequestro di corrispondenza effettuato direttamente nei confronti del senatore Renzi». Ma non solo: secondo il giudice, «non si tratta nemmeno di comunicazioni e di corrispondenza», in quanto «la giurisprudenza ha chiarito che i messaggi di posta elettronica memorizzati nelle cartelle dell’account o nel computer del mittente ovvero del destinatario, costituiscono meri documenti informatici, intesi in senso statico, dunque acquisibili ai sensi dell’art. 234 c. p. p.».
La richiesta di autorizzazione, dunque, non sarebbe stata necessaria e in ogni caso non ci sarebbero elementi per sostenere, secondo il giudice, che i magistrati stessero cercando proprio Renzi acquisendo quei dati. Considerazioni che però non avevano convinto il leader di Italia viva, che in una memoria di oltre 100mila pagine aveva evidenziato come «l'acquisizione “mirata” di corrispondenza e documentazione di parlamentari in violazione delle guarentigie costituzionali è stata ripetuta e reiterata a cominciare dalle parole chiave immesse per la ricerca nei cellulari e, più in generale, nei supporti informatici sequestrati». E «sistematicamente» sono stati immessi «i nomi dei parlamentari ( coinvolti nell'indagine), per una captazione che è tutt'altro che casuale e indiretta» .