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Forse ha esagerato Domenico De Masi o forse si è espresso male Beppe Grillo, chiacchierando col suddetto sociologo. Forse il comico ha interpretato a modo suo qualche lamentela del premier ma forse invece è tutto vero e Draghi ha realmente chiesto a Grillo di sostituire l' "avvocato del popolo" alla guida del Movimento. Non che si tratti di un particolare: se la richiesta di licenziamento fosse stata avanzata davvero si tratterebbe di un fatto grave e di un incidente di prima grandezza per la maggioranza. Però, da un altro punto di vista, sapere se le parole di De Masi corrispondono a verità non è fondamentale. Perché di certo sono verosimili.
I rapporti personali incidono. Draghi e Conte non si piacciono, forse non si rispettano neppure. Comunque il rapporto tra l'inquilino di palazzo Chigi e il precedente locatario è sempre stato difficile e spinoso. Ma in politica frizioni del genere sono, se non proprio all'ordine del giorno, almeno piuttosto comuni. Il problema vero si crea quando si sommano a una incompatibilità politica e molti segnali, indipendentemente da cosa Draghi abbia o non abbia detto a Beppe Grillo, indicano che il governo e il resto della maggioranza tollerano sempre meno la presenza del M5S di Conte al proprio interno. Il brutale annuncio dell'eliminazione del Superbonus, ormai l'ultimo cavallo di battaglia dei 5S oltre a un reddito di cittadinanza sotto assedio sempre più stringente, è solo l'ultimo dei segnali in questo senso. Il proliferare di sigle al centro e la scissione di Di Maio, del resto, permettono sia al governo che, in vista delle prossime elezioni, al Pd, di fare a meno del M5S o di non averne più il bisogno vitale di prima.
Il problema per Draghi è che Conte, non foss'altro che per istinto di sopravvivenza, deve almeno ingaggiare una serie continua di sfide a braccio di ferro col governo, probabilmente sapendo lui stesso di essere destinato a perderle. In condizioni normali sarebbe un problema per qualsiasi governo ma di limitata incidenza, più un fastidio che un vero scoglio. In condizioni che di normale non hanno nulla, con un Paese di fatto in stato di guerra ibrida e con una crisi che già morde ma potrebbe dilaniare dopo agosto il fastidio diventa quasi intollerabile. A maggior ragione quando il futuro prossimo è un'incognita da troppi punti di vista.
Conte si trova dunque nella posizione forse più scomoda che si possa immaginare, anche a prescindere dai problemi interni al Movimento che già basterebbero a fare della sua leadership un calvario. La sua presenza nel governo è sopportata a fatica e sempre meno. Però se ne uscisse passando all'appoggio esterno verrebbe immediatamente denunciato come sabotatore degli interessi nazionali. In una situazione simile solo con una grande passione per l'azzardo si potrebbe scommettere sulla permanenza dei 5S al governo sino alla pur prossima scadenza della legislatura.
Sulla carta, però, la rigidità di Draghi il suo spingere di fatto Conte verso l'uscita dal governo sono difficilmente spiegabili. In questo momento il solo spartiacque politico è rappresentato dall'atlantismo, dalla disponibilità ad allinearsi senza un fiato alle scelte della Nato. In Italia il quadro politico è da questo punto di vista ideale. Quasi tutte le forze politiche sostengono un governo che sin dal primo vagito ha dichiarato a voce altissima la propria vocazione atlantista. Qualcuno, è vero, si uniforma di malavoglia, e i 5S più di ogni altro, ma quanto poco incidano i loro mal di pancia lo si è visto in occasione del dibattito parlamentare sulle armi. Il solo partito all'opposizione in materia è schierato con decisione identica a quella della maggioranza e forse anche maggiore.
Tra gli elettori, però, il rapporto di forze è molto diverso e una percentuale alta di dissenso è di fatto priva di rappresentanza politica. I 5S fuori dal governo si troverebbero in postazione perfetta per ambire a quella rappresentanza, cioè a essere la sola forza politica rilevante non del tutto allineata con la Nato sia tra le forze di maggioranza che tra quelle d'opposizione. Insomma, l'interesse del governo dovrebbe essere tenere all'interno il più saldamente possibile Conte, nonostante i "fastidi" che ciò implica. Il problema è che nessuno sa né può sapere quale sarà la situazione nei prossimi mesi e la presenza in maggioranza di una forza comunque in grado di rallentare o contestare decisioni urgenti sul fronte della politica internazionale o dell'emergenza interna potrebbe rappresentare un guaio molto maggiore di quanto non sia oggi.