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Per la Corte d’Appello di Perugia, quello di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, nel 2013, non fu un sequestro di persona. E così, dopo quasi dieci ore di camera di consiglio, il collegio presieduto da Paolo Micheli ha assolto il capo dell’ufficio immigrazione della questura di Roma, Maurizio Improta, i funzionari Vincenzo Tramma e Stefano Leoni, il capo della Mobile, Renato Cortese, i funzionari dello stesso ufficio, Luca Armeni e Francesco Stampacchia, e il giudice di pace Stefania Lavore «perché il fatto non sussiste». I sette erano finiti a processo per il “prelievo” e la consegna alle autorità kazake della moglie del dissidente kazako Mukthar Ablyazov (ricercato dalle autorità di Astana) e della figlia di sei anni. Una vicenda che per i giudici di primo grado rappresentò un vero e proprio «rapimento di Stato», organizzato dalle forze di polizia traendo «in inganno» la procura Roma, che diede il nulla osta all’espulsione. Da qui la condanna a cinque anni per Cortese, Improta, Armeni e Stampacchia, a quattro anni per Tramma e a tre anni e mezzo per Leoni. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici si erano espressi con parole di fuoco: il trattenimento forzoso e la successiva espulsione verso la Repubblica del Kazakistan delle due «rappresentano un caso eclatante non solo di palese illegalità - arbitrarietà delle procedure seguite dalle istituzioni italiane, ma, soprattutto, una ipotesi di palese violazione dei diritti fondamentali della persona umana». La tesi aveva convinto anche la procura generale del capoluogo umbro, che il 14 aprile scorso aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati a quattro anni per sequestro di persona. E pochi giorni prima, in aula, erano stati ascoltati i tre grandi assenti del processo di primo grado, ovvero l’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, il sostituto Eugenio Albamonte e l’ex aggiunto Nello Rossi. Fu Albamonte, insieme a Pignatone, a firmare l’autorizzazione all’espatrio della donna, secondo l’accusa sotto la costante pressione di Improta. Un nulla osta prima concesso a voce a Cortese, poi revocato telefonicamente per rapidissimi accertamenti e infine autorizzato in forma scritta, procedura anomala, come ammesso dallo stesso Albamonte in aula. Shalabayeva e la figlia furono così fatte salire in fretta e furia a bordo di un aereo messo a disposizione delle autorità kazake. «È una pagina di grande giustizia - ha commentato all’Adnkronos Ester Molinaro, difensore insieme al professor Franco Coppi di Cortese -. Dimostra al contempo che, come abbiamo sempre sostenuto, il processo a carico del dottor Cortese non sarebbe mai dovuto iniziare. L’assoluzione perché il fatto non sussiste sradica completamente l’impianto accusatorio».