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Cartabia
Niente fiducia e voto entro giovedì pomeriggio. È questo l’obiettivo della maggioranza, che supera dunque indenne il primo round sulla riforma del Csm, dopo l’accordo raggiunto oggi nel corso della riunione dei gruppi con i ministri Marta Cartabia e Federico D’Incà. Riunione durante la quale ha tenuto il patto siglato in Commissione Giustizia ed evitato la pioggia di emendamenti ipotizzati alla vigilia. Nessuna proposta di modifica, dunque, da parte di Pd, Azione, LeU, Forza Italia e M5S. I grillini hanno però già annunciato l’astensione sul punto che riguarda la separazione delle funzioni, per il quale avrebbero gradito una modifica per alzare da uno a due i passaggi, come previsto dal testo Bonafede. Forza Italia ha invece deciso di attenersi alle indicazioni del governo, votando contro le cinque proposte emendative presentate dalla Lega, che ricalcano i quesiti referendari. «Speriamo che il testo sul quale è stato trovato l’accordo in Commissione regga in aula - ha commentato al Dubbio il deputato forzista Pierantonio Zanettin -, che non è il massimo, ma rappresenta un punto di equilibrio». Due proposte verranno presentate anche dal governo, ma si tratta di piccoli correttivi che Cartabia è pronta a ritirare, qualora i partiti non fossero d’accordo. Un emendamento specifica dunque che i fuori ruolo che a fine mandato finiranno all'avvocatura dello Stato non potranno ricoprire incarichi dirigenziali, mentre il secondo è stato formulato per andare incontro alle esigenze degli uffici giudiziari del Sud, dove è alto il turn over dei magistrati, con l’ipotesi di innalzare di un anno la permanenza nella prima sede. Ma sul piatto ci sono ben 55 emendamenti presentati da Italia Viva, che ha già annunciato la propria astensione in aula, sostenendo l’assoluta inefficacia della riforma. L’intento dei deputati renziani è di introdurre modifiche sul sistema elettorale, riproponendo il sorteggio temperato e, in alternativa, il sistema suggerito dalla commissione Luciani, ovvero il voto singolo trasferibile. Ma tra le proposte ve ne sono alcune sulle porte girevoli, con la richiesta di evitare disparità di trattamento fra magistrati fuori ruolo; sulla separazione delle funzioni, riproponendo lo stesso approccio del quesito referendario; la responsabilità diretta dei magistrati e altri più specifici relativi al numero massimo di fuori ruolo, la doppia indennità, la durata del periodo fuori ruolo eccetera. L’atteggiamento dei renziani, però, non impensierisce il governo. «Non vedo segnali di fibrillazioni tali da mettere a rischio un provvedimento di cui il Paese ha bisogno», ha commentato il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. Ovvero: la maggioranza è solida. E consapevole che non si tratta di una riforma epocale, ma comunque di un primo passo. Proprio per questo viene rispedita al mittente l’accusa che si tratti di una riforma punitiva, così come sostiene l’Anm. Concetto ribadito Walter Verini (Pd), relatore di maggioranza assieme al grillino Eugenio Saitta, secondo cui la riforma, lungi dall’essere un attacco alle toghe, rappresenta un tentativo di «guardare al futuro, provando a rendere più civile e moderna la giustizia italiana». La scommessa è quella «di un sistema giudiziario più rispettoso dei principi costituzionali», compresa la presunzione d’innocenza, ma anche quella di aiutare la magistratura a «recuperare credibilità e autorevolezza», persa a causa dello scandalo Palamara deflagrato ormai tre anni fa. Da qui l’appello ad evitare lo sciopero acclamato nei giorni scorsi «dalla base» dei gruppi associati. «Oggi più che mai - ha evidenziato Verini - non condividiamo toni e contenuti di un dissenso così radicale». E se è vero che qualcuno avrebbe voluto approfittare della riforma per «regolare qualche conto» con la magistratura in questa «guerra dei 30 anni», la politica, ha assicurato, non si è mossa in questo senso, anche perché tutti i «rischi» sono stati sventati. Ovvero il sorteggio, che avrebbe significato affermare che «la magistratura non è in grado di saper scegliere i più adatti», ma anche la responsabilità civile diretta, «che per qualcuno avrebbe potuto rappresentare un limite serio all'esercizio dell'azione penale», o l’azzeramento del passaggio di funzioni in vista di una radicale separazione delle carriere, «posizioni legittime, per noi non condivisibili, perché la cultura della giurisdizione, tutta l'esperienza requirente e giudicante, arricchisce, rende più completo il punto di vista di un magistrato». L'equilibrio trovato, dunque, «è accettabile per tutti». Anche perché le nuove norme «premieranno, nelle carriere, il merito», senza più automatismi dannosi. E lo stesso fascicolo del magistrato, tasto dolente per le toghe, «rappresenta per noi uno stimolo a valutazioni sempre più fondate sulla professionalità» e non una «schedatura». Ma il grande successo, ha evidenziato, è anche «la possibilità data all'avvocatura di esprimere con il voto una valutazione dentro i consigli giudiziari». Proposta che non va guardata con timore, ha sottolineato, ma come possibilità di arricchimento «dei punti di vista e della collaborazione tra le componenti fondamentali della giurisdizione», dal momento che «l'avvocatura, come è stato sottolineato, non è certo un ospite nella casa della Giustizia». A criticare la riforma ci ha pensato la relatrice di minoranza, la deputata di Fratelli d’Italia Carolina Varchi. Che ha, innanzitutto, bocciato l’iter dei lavori, che ha «mortificato il dibattito parlamentare», e poi ha condannato l’atteggiamento dell’Anm, di fatto definito un attentato all’assetto costituzionale, mirando ad eludere il «principio liberale della separazione dei poteri». Ma è soprattutto il testo a non funzionare, secondo, la deputata, a partire dal sistema elettorale, che garantirebbe, a suo dire, lo strapotere delle correnti. Il dato positivo è il ruolo attribuito agli avvocati, un primo passo «per l'effettivo riconoscimento che naturalmente passa per la tutela in Costituzione. Critico anche Catello Vitiello, di Italia Viva, secondo cui la riforma non sarebbe in grado di correggere le degenerazioni, determinate non dalla politica all'interno del sistema, ma dalla «magistratura che fa politica fuori dal sistema giudiziario», che «serve al singolo magistrato, non serve alla funzione». Aspetto che secondo Vitiello la riforma non risolve. E a rincarare la dose è stato il collega di Iv Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa, che ha definito «inutile» il testo Cartabia. «Non si è avuto il coraggio di risolvere i reali problemi della giustizia - ha sottolineato -. Non si comprende perché la ministra abbia scelto la via del non cambiamento, tutelando i privilegi come le doppie indennità per i magistrati apicali nei ministeri, e incentivando il carrierismo anziché valorizzare il magistrato silenzioso e fuori dalle correnti. È stata persa una grande occasione per la politica, ma anche per i cittadini e per la stessa magistratura che chiedeva rinnovamento».