PHOTO
Forse bisogna partire dalle parole di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica, nel discorso pronunciato alla Camera in occasione del reinsediamento, aveva avvertito che non solo «la magistratura» ma anche «l’avvocatura» dovrà «assicurare che il processo riformatore si realizzi». Il riconoscimento di un peso non solo tecnico ma anche ordinamentale. Ecco, ieri l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, celebrata al Maxxi di Roma, ha impresso un ulteriore sigillo alla prospettiva evocata dal Capo dello Stato. Lo ha fatto con le parole di due figure che ridefiniscono al femminile, come mai era avvenuto in passato, il sistema giustizia: la guardasigilli Marta Cartabia e la presidente del Cnf Maria Masi. È la prima a ricordare che la giustizia «deve parlare «anche attraverso la voce degli avvocati». E perciò va considerata utile ai magistrati, affinché possano contare su «elementi di riflessione aggiuntivi offerti da chi osserva l’operato del giudice da un altro punto di vista», la norma, prevista nel ddl sul Csm, che riconosce al Foro la facoltà di «esprimere» nei Consigli giudiziari «anche un voto sulle valutazioni di professionalità dei magistrati». E Cartabia non fa altro che dare piena legittimazione alla prospettiva di Masi, disegnata con orgoglio dalla presidente degli avvocati nella propria relazione inaugurale: «Serve un grande sforzo che veda il Foro e i magistrati impegnati insieme nella valorizzazione di una rinnovata cultura ed etica della giurisdizione», spiega il vertice del Cnf.Masi non ricorre mai a toni da rivendicazione sindacale. Propone la necessità di «vasi comunicanti tra magistratura e avvocatura» non come riscatto della classe forense, ma nell’interesse della giustizia e della «democrazia». Con dignità e orgoglio, e con un discorso che si potrebbe definire “da statista”, non da rappresentante di categoria. E così come era in parte prevedibile, l’inaugurazione del Cnf diventa preludio alla nuova giustizia. Contribuiscono a renderla tale le nuove parole che il presidente della Repubblica affida a Masi nel messaggio inviato per la cerimonia: «Siamo nella fase in cui troveranno piena applicazione le riforme, e l’avvocatura è chiamata a svolgere un ruolo centrale». Contribuiscono, con argomenti forti, convinzione e tono accorato, a legittimare il coprotagonismo del Foro nella giurisdizione anche gli altri quattro relatori: il vicepresidente del Csm David Ermini, il vertice della Cassazione Pietro Curzio, il presidente di sezione del Consiglio di Stato Michele Corradino e il numero uno della Corte dei Conti Guido Carlino. È un coro, una polifonia arricchita dalle diversità ma perfettamente armonica: «Si punti alla collaborazione fra magistrati e avvocati». Lo dicono tutti, con parole pressoché identiche. È il senso di un futuro da costruire, ma nel quale si deve avere il coraggio di inoltrarsi. Logica che ispira fino in fondo il discorso di Maria Masi, anche nell’appello finale in cui parla non più alla politica e alla magistratura ma direttamente ai colleghi: «Vorrei inaugurare non solo l’anno giudiziario del Cnf ma anche il necessario nuovo corso dell’avvocatura». La quale dovrà saper «garantire» alla propria funzione «libertà e indipendenza» anche nel rivolgersi a «nuovi e possibili profili professionali». Guardare avanti: è uno sforzo che devono compiere certamente i magistrati, con la rinuncia alle «riserve corporative» evocate con grande schiettezza proprio dal vertice del Csm Ermini. Ma quel coraggio e quella disponibilità a camminare uniti innanzitutto all’interno dell’universo forense deve riguardare appunto anche i singoli avvocati, ricorda Masi. Che guarda al futuro, dunque, senza pretendere che i magistrati debbano compiere da soli il primo passo. Ed è molto importante che sia l’unico “magistrato ordinario” intervenuto alla cerimonia, Pietro Curzio, cioè il “primo giudice d’Italia”, a dire, con il suo inconfondibile appassionato richiamo al cuore dei colleghi, che magistrati e avvocati sono entrambi «indispensabili alla giurisdizione» e che «svolgono professioni diverse ma legate in modo indissolubile fra loro». E alla Suprema corte, aggiunge, «abbiamo improntato il nostro assetto organizzativo proprio alla collaborazione fra giudici e avvocati». Naturalmente non mancano le antitesi dialettiche, come in ogni “logos” che intenda affermare idee forti: Masi ringrazia Cartabia per la norma che riconosce al Foro il diritto di voto sulle carriere dei giudici, ma dice anche che proprio «non si condividono» le ragioni del dissenso «manifestato dalla componente associativa della magistratura», vale a dire dall’Anm; e Cartabia è per certi aspetti persino più sferzante, perché (come ricordato anche in altro servizio del giornale. ndr) tiene molto a evocare, davanti alla platea degli avvocati (che annovera gli altri consiglieri del Cnf ma anche Ordini e associazioni forensi) quei «tantissimi magistrati che ogni giorno operano in modo riservato, con passione, dedizione, accanto a voi: sono loro i vostri principali alleati, il volto migliore della nostra magistratura». Quasi a voler suggerire che oggi, forse, le polemiche un po’ corporative agitate dalle istituzioni delle toghe non rappresentano quel cuore nobile dell’ordine giudiziario. Resta il fatto che Masi e Cartabia, come gli altri relatori, sono perfettamente intonate nel trattare le resistenze come un precipitato residuale, e nell’indicare il futuro in termini di sinergia, di alleanza. Ne parlano agli avvocati ma anche al cospetto di tanti magistrati presenti a seguire la cerimonia, dal pg di Cassazione Giovanni Salvi al procuratore di Roma Franco Lo Voi. Il messaggio è chiaro: cambiare si può. Insieme, e con uno sforzo di coraggio che dovrà coinvolgere tutti.