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Diritto al silenzio
Il plenum di Palazzo dei Marescialli approva il parere della Sesta Commissione che “smonta” la riforma del Csm. Un voto, quello di ieri, che è arrivato al termine di lunghe discussioni sugli emendamenti al testo e che ha registrato un unico momento forte di spaccatura sul sistema elettorale. Ma, soprattutto, ha ribadito la contrarietà dei togati a dare peso al parere dell’avvocatura nei Consigli giudiziari, con la bocciatura del diritto di voto contenuto invece dalla riforma al vaglio della Commissione giustizia. Un no al quale si è opposto fino alla fine il laico di Forza Italia Alessio Lanzi. Le ragioni del suo dissenso sono «di carattere culturale, ideologico, sociale e costituzionale», ha affermato in apertura di intervento. «Traspare nel parere una sfiducia, un senso di superiorità nei confronti della classe degli avvocati, sia singolarmente considerati che riuniti nell’organo istituzionale di diritto pubblico che è il Coa - ha sottolineato -. Si prevede che allargare agli avvocati le attività dei consigli giudiziari determinerebbe degli scompensi, delle captatio benevolentiae, sottendendo chissà quali manovre illecite. Questo è un messaggio su cui invito a meditare, perché la classe dell’avvocatura rappresenta una parte del processo e deve avere pari diritti del pm. Quindi ritenere così negativa la partecipazione degli avvocati è uno sgarbo istituzionale nei confronti di una parte essenziale del processo». Il dibattito, però, si è concentrato prevalentemente sulla critica al sistema maggioritario con correttivo proporzionale previsto dalla riforma, al quale il plenum, a maggioranza, ha opposto un sistema proporzionale, respingendo l’invito di chi come Lanzi e i togati Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, per citarne alcuni, avevano proposto il sorteggio temperato. Tale sezione del parere - la prima - ha incassato 13 i voti favorevoli e altrettanti voti contrari, ma i primi hanno prevalso per via del voto del vicepresidente David Ermini, che in caso di parità vale doppio. Secondo il testo approvato, dunque, il sistema previsto dalla riforma sarebbe «del tutto inidoneo» a «limitare la capacità di determinare gli esiti elettorali» da parte delle correnti e «consentire invece l'elezione anche di candidati non appoggiati dai gruppi stessi». Secondo il laico Filippo Donati, però, il parere sarebbe contraddittorio «laddove, dopo aver criticato il sistema elettorale proposto dalla ministra, ne propone uno proporzionale», sistema che «abbiamo avuto per 27 anni» e la cui introduzione, «nei manuali di ordinamento giudiziario», viene attribuita all'obiettivo «di dare ingresso formale alle correnti all'interno del Consiglio superiore della magistratura». A ciò si aggiunge il fatto che «proporre un sistema elettorale» è «una scelta politica», che non compete al Csm. Ma a contestare l’opinione del laico 5 Stelle è stato il togato di Area Giuseppe Cascini, secondo cui causa delle degenerazioni correntiste sarebbe «la riforma del 2006», negando un rapporto diretto fra sistema proporzionale e correntismo deteriore. «Tutte le analisi dicono che la riforma del 2006 ha tolto potere di scelta agli elettori e ha trasferito questo potere in capo agli apparati delle correnti», ha affermato, puntando il dito contro il sistema uninominale. Il vantaggio del proporzionale risiederebbe invece nel fatto che «ogni lista ha l’interesse a presentare più candidati e quindi l'elettore sceglie a quale orientamento ideale aderire e poi può scegliere fra i vari candidati della lista». Ma il problema, secondo Ardita, prescinde dal sistema, dal momento che «queste elezioni sono comunque in qualche modo influenzabili dai gruppi o dai correntisti - ha affermato -, che fanno dei gruppi strumenti di potere». Il sorteggio temperato, invece, «è una realtà che non lede la Costituzione. Forse non risolve il problema, perché è pur vero che si possono pescare persone che sono già inserite in gruppi, ma è comunque la possibilità di smontare le carriere preordinate da qui a 20 anni, una pagina nera del nostro correntismo». Approvate anche le critiche alla presunzione di innocenza e alle pagelle per i magistrati che, secondo il togato di Autonomia e Indipendenza Giuseppe Marra «creeranno un ulteriore e più grave condizionamento dei magistrati: l'indipendenza non è soltanto verso l'esterno, verso gli altri poteri dello Stato, ma anche all'interno dell'ufficio e quindi avremo magistrati sempre più preoccupati che i propri dirigenti, nel loro rapporto, facciano una valutazione» distinguendo tra ottimo, bravo, discreto e sufficiente. «La valutazione di professionalità - ha concluso - non può essere la pagella che si dà allo studente per individuare quello più bravo e quello meno bravo, perché si innesta un meccanismo di concorrenza tra i magistrati, un meccanismo in cui si cercherà di essere compiacente con il dirigente che deve fare il proprio rapporto».