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Il fatto non costituisce reato. Non sembra lasciare spazio ad interpretazione la formula con la quale il gup di Brescia, Federica Brugnara, ha assolto il pm di Milano Paolo Storari dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio, mossagli per aver consegnato i verbali dell’ex avvocato esterno di Eni Piero Amara all’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Che ora, dunque, rimane l’unico a dover rispondere della diffusione del contenuto di quei documenti, data la scelta della stessa giudice di rinviarlo a giudizio lo scorso 17 febbraio. Storari aveva scelto di rivolgersi all’ex pm di Mani Pulite per «autotutelarsi», alla luce della presunta inerzia dei vertici della procura di Milano ad indagare sulla cosiddetta “loggia Ungheria”, svelata da Amara in quei verbali. La cui consegna, aveva chiarito il magistrato, era avvenuta dopo le rassicurazioni di Davigo sul fatto che il segreto d’ufficio non fosse opponibile ai membri del Csm. Per il sostituto milanese la procura di Brescia, rappresentata dai pm Donato Greco e Francesco Milanesi, aveva chiesto la condanna a sei mesi, poiché il magistrato avrebbe agito «in assenza di una ragione d’ufficio che autorizzasse il disvelamento del contenuto di atti coperti dal segreto investigativo e senza investire i competenti organi istituzionali deputati alla vigilanza sull’attività degli uffici giudiziari». La giudice ha però dato ragione alla difesa, sancendo la buona fede del pm. Per conoscere le ragioni dell’assoluzione sarà necessario attendere 15 giorni. Ma a tracciare un bilancio di un processo diventato un vero e proprio «calvario» per il magistrato ci ha pensato il suo difensore, Paolo Della Sala. «Nel momento in cui qualcuno ha guardato in modo approfondito la questione, come già successo davanti al Csm in sede disciplinare cautelare, il risultato è stato questo - ha dichiarato al Dubbio -. È evidente che solo una lettura in verticale dei fatti consente di esprimere dei giudizi. L’innocenza del dottor Storari è abbastanza chiara, tanto più che la formula adottata non lascia spazio a dubbi sulla contraddittorietà della prova. La linearità e la ragionevolezza del suo comportamento rispetto alla situazione che gli appariva è evidente. La procura di Brescia ha tenuto un atteggiamento molto equilibrato in questa vicenda, anche in discussione, e questo va riconosciuto. Siamo felici - ha aggiunto -. È stata una battaglia veramente difficile e l’assoluzione è la decisione più corretta. Spero che questa decisione ponga fine a questo calvario a cui Storari è stato sottoposto per aver fatto il proprio dovere dal suo punto di vista e dalla ragionevole prospettiva che aveva. Gli argomenti tecnici per poter arrivare a questa assoluzione erano solidissimi, noi siamo sempre stati molto fiduciosi. Quella di oggi è una decisione che ci ha soddisfatto - ha concluso - perché ridà equità a un ambito che è stato anche forse un po’ strumentalizzato da una certa stampa». Per Storari rimane ancora aperto il capitolo disciplinare, in quanto il Csm sta valutando se trasferirlo per incompatibilità ambientale. La sentenza di ieri, però, potrebbe rappresentare un punto a favore del magistrato, che davanti al gup aveva spiegato le ragioni del suo comportamento, evidenziando la gestione incoerente del “pentito” Amara da parte della procura di Milano: secondo il pm, infatti, le sue dichiarazioni venivano utilizzate se utili al processo Eni-Nigeria - conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati -, mentre venivano messe da parte se riguardavano altro. «Quando le cose fanno comodo in Eni-Nigeria, buttiamola al processo - sosteneva lo scorso 3 febbraio in udienza -, quando si deve indagare su Ungheria che potrebbe portare al calunnione gravissimo, no». In quell’occasione, Storari descrisse il suo stato d’animo, causato dal presunto ostruzionismo dei vertici dell’ufficio, su tutti l’ex procuratore Francesco Greco (la cui posizione è stata archiviata) e l’aggiunta Laura Pedio (indagata per omissione di atti d’ufficio), coassegnataria del fascicolo sul “Falso complotto Eni” nel quale sono maturate le dichiarazioni di Amara. E proprio il «ritardo» nelle iscrizioni dei primi indagati, più volte richieste da Storari, spinse il pm a rivolgersi a Davigo, al quale consegnò le dichiarazioni di Amara innescando, involontariamente, l’iter che portò quelle dichiarazioni fino alle redazioni di due giornali. Storari, davanti alla giudice, sottolineò di essersi sentito «solo», «rimbalzato» da un punto all’altro. Più complicata la posizione di Davigo, che secondo l’accusa avrebbe violato «i doveri inerenti alle proprie funzioni» abusando «della sua qualità di componente del Csm», pur avendo «l'obbligo giuridico ed istituzionale» di impedire «l'ulteriore diffusione» dei verbali di Amara. L’ex pm di Mani Pulite, infatti, non si limitò a ricevere i verbali, ma ne «rivelava il contenuto a terzi» senza alcuna «ragione ufficiale»: oltre a parlare della situazione con l’ufficio di presidenza del Csm, infatti, raccontò il contenuto di quegli atti a diversi membri del Csm, nonché alle sue segretarie e al presidente della Commissione antimafia Nicola Morra. A loro spiegò che tra gli appartenenti alla presunta loggia ci sarebbe stato anche l’ex amico e consigliere del Csm Sebastiano Ardita, invitando tutti a prendere le distanze da lui. Ed è proprio per tale motivo che Ardita, rappresentato dall’avvocato Fabio Repici, si è costituito parte civile al processo a carico di Davigo, lamentando gli «evidenti danni» derivati da quella fuga di notizie. Secondo Repici, l’ex pm di Mani Pulite avrebbe infatti agito con «dolo» con il fine «di screditare il ruolo istituzionale di consigliere del Csm» di Ardita «e la sua immagine personale e professionale», attraverso «una pervicace operazione mirata di discredito - ha aggiunto -, cercando così perfino di condizionarne il ruolo di consigliere del Csm e addirittura arrivando a condizionare l'intero Csm». Ed è proprio questo che rende la sua posizione molto diversa da quella di Storari.