I detenuti vengono tenuti fermi mentre vengono stuprati, le urla spaccano i timpani, i tentativi di resistenza sono futili. Si vede l’immagine di un detenuto tenuto fermo sulla branda, completamente nudo. Un agente penitenziario lo stupra con una lunga sbarra rossa. Si tratta di uno dei filmati pubblicati su
Gulagu.net, un progetto contro la corruzione e la tortura in Russia che riunisce oltre 19mila difensori e volontari. Video inediti girati di nascosto all’interno delle carceri russe che per la crudeltà di immagini, bisogna avere uno stomaco forte vederli fino alla fine.
Avviso ai lettori: le immagini delle violenze subite dai detenuti sono davvero molto forti e disturbanti. Per questa ragione non abbiamo incluso i video all'interno dell'articolo. Per chi volesse visionarli sono disponibili qui. Lo ribadiamo, si tratta di immagini crude e drammatiche, ma crediamo che la denuncia vada diffusa il più possibile per onorare chi ha avuto il coraggio di filmarle e per provare a smuovere qualcosa nella palude terrificante delle carceri russe.
In un video girato il 25 giugno 2020, si vede un uomo che ordina a un detenuto, con le mani legate alla branda e le gambe sollevate sulla testiera, di dichiarare il suo nome forte e chiaro. L'operatore inquadra il volto in primo piano, insieme alle corde che lo legano, mentre un altro uomo lo tiene per le gambe. La vittima è quindi ripresa di lato, mentre un aguzzino lo stupra, senza usare il preservativo. Anche chi aderisce alla fratellanza dei “ladri-in-legge”, gruppo di detenuti appartenenti alla mafia russa, viene preso di mira. Nel girato del 10 aprile del 2020, si vede un giovane, nudo, che giace a pancia in giù con le mani legate con un nastro adesivo dietro la schiena.
L'aguzzino gli pianta un anfibio sulle scapole, lo chiama per nome e gli chiede: «Chi sei nella vita?». Il prigioniero risponde: «Nessuno, sono un pezzente». Una voce fuori campo aggiunge: «Sei un galletto». L'altro continua a premere l'anfibio sulla testa del prigioniero e lo apostrofa: «Ma che ladro-in-legge vuoi essere tu!». Il progetto di Gulagu.net fornisce ai detenuti e ai loro parenti, ex detenuti e attivisti per i diritti umani, l'opportunità di scrivere e parlare delle loro esperienze relative al mantenimento delle persone nelle carceri e nelle colonie, nonché della loro esperienza di interazione con i tribunali e le forze dell'ordine. Ha come missione lo smascherare le bugie di dipendenti senza scrupoli del Servizio Penitenziario Federale e di altre forze dell'ordine; fornire assistenza legale gratuita e aiutare a pagare gli avvocati alle vittime di tortura e alle famiglie delle persone torturate nei sotterranei e, non per ultimo, quello di inviare rapporti su fatti specifici identificati di tortura e violazioni sistematiche dei diritti all'Onu, al Cpt e alla Cedu.
Quando sono stati pubblicati i video nel maggio dello scorso anno, gli amministratori di Gulagu.net sono stati costretti a lasciare la Russia. Il sito è stato bloccato dalle autorità e non è quindi accessibile ai cittadini russi. Ma chi ha portato allo scoperto quei video in carcere? Una volta cercato asilo in Francia, essendo fuggito dalla Russia temendo per la sua incolumità, ha rivelato pubblicamente la sua identità. Si chiama
Sergey Savelyev, un ragazzo bielorusso di 32 anni che ha trascorso ben otto anni nel carcere russo. Savelyev ha iniziato a condividere i video con attivisti per i diritti umani dopo il suo rilascio nel febbraio del 2021. Nel corso di diversi mesi ha condiviso centinaia di file. Era stato fermato all'aeroporto di San Pietroburgo mentre si recava a Novosibirsk. Al banco del check-in, uomini in abiti civili hanno iniziato a interrogarlo. Hanno detto di sapere tutto sulla sua corrispondenza con Vladimir Osechkin, il capo di Gulagu.net, minacciandolo che lo avrebbero messo in carcere per fagli scontare 20 anni di carcere per tradimento. «In primo luogo, confesserai tutto, e poi verrai trovato morto in una cella», gli hanno intimato. Oppure, l’alternativa era che lui collaborasse alle indagini e ammettesse di essere stato costretto a raccogliere prove «che screditano il servizio carcerario russo». A quel punto, Savelyev, per potersi salvare, ha firmato alcuni documenti accettando di collaborare con le autorità e gli è stato permesso di andare. A quel punto, è scappato. Ha preso un minibus dalla Russia alla Bielorussia e poi ha viaggiato attraverso la Tunisia fino alla Francia. Una volta nella zona di transito dell'aeroporto Charles de Gaulle di Parigi, ha chiesto aiuto alla polizia. Nel 2013, Savelyev è stato condannato per un reato di droga e condannato ad otto anni di carcere. Fu mandato in una prigione nella città russa di Saratov, nota per le accuse di abusi sui detenuti. Sostiene di essere stato duramente picchiato non appena è arrivato. In seguito ha avuto la fortuna di essere notato come qualcuno che sapeva usare un pc ed è stato portato nell'ufficio del carcere per lavorare in un ruolo amministrativo. Uno dei suoi compiti era guardare le registrazioni video delle telecamere del corpo delle guardie carcerarie. Ben presto si rese conto che mentre molte delle registrazioni erano benigne e semplicemente documentavano i giri delle guardie, alcune mostravano violenti abusi sui detenuti ed erano profondamente inquietanti. A quel punto, di nascosto, è riuscito a copiarli e salvarli in una chiavetta. Poi, nel 2021, le ha consegnate agli attivisti umanitari di Gulagu.net. Divenuti oramai pubblici, Putin è stato costretto ad intervenire e licenziare tutti i dirigenti dell’amministrazione penitenziaria. «Queste torture avvengono anche nei penitenziari americani e francesi», ha dichiarato il presidente russo. Sì, ma non proprio a questi livelli. Ma se anche fosse, a differenza della Russia, le organizzazioni dei diritti umani non sono costrette ad abbandonare il proprio Paese per poter rendere pubbliche le denunce. La differenza, che non è poca, sta tutta qui.