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Donbass
Alla fine, dopo la scontata autorizzazione da parte del senato, le truppe russe hanno varcato il confine ucraino, per il momento solo una prova di forza, che però il presidente russo Vladimir Putin potrebbe prestissimo trasformare in un’invasione di terra in piena regola. Ossia in una guerra. Alla dichiarazione d’indipendenza delle regioni separatiste del Dombass e del Lugansk annunciata alla nazione in diretta tv, sono seguiti i fatti. Se non si hanno ancora notizie di battaglie tra truppe regolari, le milizie russofone hanno affrontato a più riprese i militari di Kiev forti degli aiuti che vengono a pioggia dal Cremlino che sta passando armamenti e logistica alla sua “prima linea” sul fronte ucraino. Stando a quanto riferito dalla Joint Forces Operation del ministero della Difesa ucraino ieri due soldati ucraini sono rimasti uccisi durante dei bombardamenti nella zona di Donetsk, la grande città più vicina alla zona degli scontri. Il presidente ucraino Zelensky ha schierato oltre 120mila militari pronti a intervenire soprattutto in Donbass e ed è a un passo dall’interruzione totale dei rapporti diplomatici con Mosca: «Non abbiamo paura della Russia e non cederemo un solo pezzo della nostra nazione.Concitata la reazione della cosiddetta comunità internazionale, specialmente Unione europea e Stati Uniti, per i quali Putin starebbe preparando «un’invasione su larga scala dell’Ucraina». Nessuno è in grado di sapere qual è il vero obiettivo di Putin, di sicuro il capo del Cremlino ha detto con estrema chiarezza che vuole «smilitarizzare l’Ucraina», il che fa temere il peggio. I vertici della Nato sono da ieri in allerta come ha spiegato il segretario generale Jens Stoltenberg: all’uscita del consiglio straordinario dell’Alleanza: «La Nato è risoluta e unita nella sua determinazione a proteggere e difendere tutti gli alleati. Nelle scorse settimane gli alleati hanno dispiegato migliaia di soldati aggiuntivi nella parte orientale dell’Alleanza e messo di più in stand-by. Abbiamo oltre cento jet ad allerta alta e ci sono oltre 120 navi in mare, dall’Alto Nord al Mediterraneo. Continueremo a fare tutto ciò che è necessario per proteggere gli alleati dalle aggressioni». Intanto arrivano le prime risposte da parte delle nazioni europee che sostengono Kiev, su tutte la Gran Bretagna che ha imposto sanzioni a cinque banche (Rossiya, IS Bank, General Bank, Promsvyazbank e Black Sea Bank) e tre oligarchi vicini al Cremlino «dall'elevato patrimonio economico», tra di loro il magnate Gennady Timchenko, proprietario del Volga Group, colosso delle costruzioni e della distribuzione di energia. Ad annunciare le sanzioni economiche è stato il primo ministro Boris Johnson, parlando ai deputati della Camera dei Comuni. "Sono solo la prima tranche di una serie di mosse che siamo pronti a intraprendere". Anche Berlino non ha perso tempo: il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha bloccato ieri la certificazione del gasdotto Nord Stream 2 per convogliare gas naturale russo in Germania attraverso il Mar Baltico per oltre 1200 chilometri. Il gruppo russo Gazprom ha una partecipazione di maggioranza nel progetto dal valore complessivo di 10 miliardi di euro, ma nell'azionariato della società ci sono anche le compagnie tedesche Uniper e Wintershall, la francese Engie, l'anglo-olandese Shell e l'austriaca Omv. Oggi stesso anche l’Ue annuncerà il suo pacchetto di sanzioni che dovrebbero essere molto dure. Nonostante la situazione stia precipitando, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, fa sapere che la porta del dialogo è sempre aperta, biasimando però le ritorsioni economiche nei confronti di Mosca. Insomma la diplomazia continua a lavorare nella speranza di far sedere Russia e Ucraina intorno a un tavolo e risolvere la crisi pacificamente. Nel Donbass però sono tutti pronti alla guerra.