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Manuela Agosta aveva solo 29 anni. E ieri la sua vita è terminata in una cella del carcere di Messina/Gazzi, dove si è impiccata a meno di 48 ore dall'arresto, avvenuto nell'ambito di un blitz antidroga. Era accusata di concorso in spaccio e ieri, dopo l’interrogatorio di garanzia, ha arrotolato le lenzuola della sua branda e messo fine alla propria vita. Il suo è solo l’ultimo di una serie di casi che certificano l’urgenza di affrontare una discussione seria sulle misure cautelari, che in alcuni casi si trasformano in un’anticipazione ingiusta di una pena che tante volte non sarà inflitta. Col paradosso di averla scontata ancor prima che il processo possa escluderne la necessità. La storia di Manuela si intreccia a quella di Giancarlo Pittelli, ex deputato di Forza Italia, imputato per concorso esterno nel maxiprocesso Rinascita-Scott, che proprio ieri ha lasciato il carcere di Melfi, dove era tornato a seguito della lettera scritta dai domiciliari alla ministra Mara Carfagna e dopo aver trascorso, in precedenza, un lungo periodo dietro le sbarre. Per lui, la politica e la società civile si sono mobilitate in massa, riaprendo il dibattito sull’abuso delle misure cautelari ed evidenziando una sproporzione tra le condizioni di salute del penalista e la misura adottata. Un dibattito che il Parlamento dovrebbe però affrontare in maniera seria, se non vuole apparire come un corpo che difende solo se stesso, perché sono migliaia i Pittelli dimenticati sui quali nessuno si interroga. I dati alla mano sono chiari: l’Italia è il quinto Paese in Europa per tasso di detenuti in custodia cautelare. Un detenuto ogni tre, dunque, aspetta il processo privato della libertà, nella maggior parte dei casi in carcere. E come testimonia l’ultima relazione annuale del ministero della Giustizia sulle misure cautelari, tale scelta risulta ingiusta una volta su 10. Dato che raddoppia se alle assoluzioni si sommano i casi in cui, a prescindere dall’esito del processo, le misure cautelari potevano essere evitate, essendo facilmente prevedibile, sin dalla genesi dell’inchiesta, la concessione della sospensione condizionale: è capitato in 4.548 casi. «Se a questo dato si aggiunge quello delle ingiuste detenzioni - l’ultima statistica fa riferimento a circa 1.000 in un anno, quindi circa 3 al giorno, tenendo conto solo di coloro che hanno chiesto il risarcimento - si comprende che il ricorso alla custodia cautelare, molte volte rappresenta un vero e proprio abuso», ha sottolineato dalle colonne di questo giornale Riccardo Polidoro, co-responsabile Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali italiane. A sostenere questa tesi non ci sono, però, soltanto gli avvocati: «Purtroppo è vero, in Italia si abusa della custodia cautelare, spesso al di fuori del dettame costituzionale degli articoli 13 e 27 della nostra Carta fondamentale, quelli che parlano dell’inviolabilità della libertà personale e della non colpevolezza fino a sentenza definitiva», disse pubblicamente, tempo fa, Gherardo Colombo, ex pm del pool di Mani Pulite, oggi convinto pure che il carcere vada abolito. E anche secondo l’ex giudice della Consulta Sabino Cassese, «se ne fa un uso eccessivo, e questo è un sintomo di un possibile uso abusivo o distorto». Di diverso parere, invece, il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, secondo cui «se teniamo conto della pericolosità media delle persone che vi sono sottoposte - spiega al Dubbio - non vedo abusi nell’utilizzo della custodia cautelare nel nostro paese. D’altra parte la percentuale così alta di detenuti non definitivi è dovuta a due fattori. Da un lato vi sono i tempi del processo: se fossero più brevi li porterebbero ad assumere prima la veste di condannato (da noi sono considerati in attesa di giudizio anche i condannati in appello fino al giudizio di Cassazione). Dall’altra parte vi è la oggettiva necessità di impedire la commissione di nuovi reati che - delle tre ipotesi che legittimano la custodia cautelare - è quella più rilevante. Dunque trovo molto improbabile che anche in caso di vittoria del referendum si possa rinunciare alla custodia cautelare senza provocare una grave reazione dei cittadini, che verrebbero privati di ogni difesa sociale anche rispetto a reati gravi e di elevato motivo di allarme». In attesa di un serio dibattito politico, infatti, il tema è al centro di uno dei quesiti referendari presentati dal Partito radicale insieme con la Lega, quesiti che martedì 15 febbraio arriveranno al plenum della Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi, come sempre, sulla ammissibilità. Quello relativo alla custodia cautelare non intaccherebbe la carcerazione preventiva per chi commette reati gravi, ma abolirebbe la possibilità di procedere alla privazione della libertà in ragione di una possibile “reiterazione del medesimo reato”, la motivazione utilizzata più di frequente e «molto spesso senza che questo rischio esista veramente». Insomma, il momento è arrivato. Ma la politica dovrebbe superare il timore del populismo e assumersi la responsabilità di fare il proprio mestiere.