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Canzio
Domani sarà tutto più chiaro. Prima la cabina di regia, poi il Consiglio dei ministri dovrebbero definire il punto di equilibrio sulla riforma del Csm. Operazione non facile, perché sul sistema per eleggere i togati, prima ancora che sulle “porte girevoli”, alcuni malumori tra i partiti paiono difficili da sradicare. Forza Italia e Lega restano poco convinte della rinuncia al sorteggio. Una soluzione estrema che, ancora ieri, il vicepresidente di FI Antonio Tajani definiva la sola in grado di evitare la «politicizzazione» della magistratura. Anche il Movimento 5 Stelle giudica il “cartabiellum” messo a punto fra via Arenula e Palazzo Chigi un sistema ancora «non sufficiente a evitare la spartizione fra correnti». Ma sono dissensi destinati a essere riassorbiti non foss’altro perché, sull’idea di selezionare a caso i magistrati eleggibili al Csm, Marta Cartabia non contempla ripensamenti. Anche il “sorteggio temperato” caro agli azzurri sarebbe passibile di censure da parte della Consulta, e una presidente emerita della Corte proprio non può permettersi di passare per la ministra autrice di una riforma incostituzionale della giustizia.
Certo, pesano i timori del premier Mario Draghi, preoccupato che aderire alle ritrosie delle toghe anziché al taglio netto vagheggiato dalla politica trasformi l’iter del ddl in un vietnam parlamentare. Così, non è escluso per esempio che venga aggravata la norma relativa al rientro nella giurisdizione per i magistrati sedotti dalla politica. Ieri, tanto per dire il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa ha ironizzato sul trattamento previsto per le toghe chiamate a incarichi politici senza passare per le elezioni: «Basta scavare un po’ e si scopre che un magistrato potrà tranquillamente fare l’assessore regionale, il ministro o il sottosegretario e tornare a fare il pm». In effetti gli emendamenti concordati da Cartabia e Draghi prevedono al momento che, in seguito a un’esperienza di governo, un giudice possa reindossare la toga dopo 3 anni di stop dalle funzioni. Nella stesura finale, la sospensione potrebbe essere elevata a 5 anni, o addirittura trasformarsi, come ipotizzato per le toghe elette in Parlamento, in un’esclusione definitiva dalle funzioni giurisdizionali. Si vedrà. Ma anche questo “fine tuning” sulle porte girevoli pare comunque un passaggio gestibile. Intanto, dal punto di vista dell’avvocatura, non si può sottovalutare una novità rilevantissima destinata ad aprire un varco decisivo per il riconoscimento della pari dignità anche ordinamentale fra classe forense e magistrati: la previsione di un diritto di voto per gli avvocati nei Consigli giudiziari esteso anche ai pareri sulle valutazioni di professionalità delle toghe. Come anticipato ieri dal Dubbio, a essere adottata sarà la soluzione già proposta dal Pd con un proprio emendamento: prevedere che, sugli “scatti di carriera” dei magistrati, si esprima innanzitutto il Consiglio dell’Ordine, con una indicazione definita dunque collegialmente, in modo che l’avvocato componente del Consiglio giudiziario possa tradurre in voto una valutazione non individuale, dunque non sospettabile di essere distorta da ipotetici conflitti d’interesse. È una vittoria cruciale anche rispetto alla tenace campagna condotta, sul punto, dal Cnf. Il diritto di voto nei cosiddetti “mini Csm” locali ha finora incontrato resistenze in ampi settori della magistratura. Così com’è vero che il coinvolgimento a pieno titolo della professione forense nelle valutazioni di professionalità delle toghe è considerato ormai, da alcune voci autorevolissime della magistratura, tutt’altro che un atto di lesa maestà.
È il caso del presidente emerito della Cassazione Gianni Canzio che, interpellato dal Dubbio sulla modifica ipotizzata nella riforma del Csm, così ribadisce il suo punto di vista: «Nel corso della esperienza personale vissuta in due Consigli giudiziari, (L’Aquila e Milano) e nel Consiglio Direttivo della Corte di cassazione, non ho mai avuto occasione di dubitare né tantomeno di sospettare della esistenza di un qualche conflitto d’interesse da parte degli Avvocati (e, perché no, dei Professori universitari) componenti di quegli organismi con funzione essenzialmente consultiva. Ho anzi rilevato», osserva Canzio, «come l’ampia collegialità e la dignità del contesto erano in grado di garantire di per sé la serietà, la professionalità e l’indipendenza di giudizio dei componenti non togati, ritenendo affatto ingiustificata ogni restrizione al loro diritto di partecipare a pieno titolo al dibattito e alla deliberazione su ogni questione, attraverso il largo utilizzo del cosiddetto diritto di tribuna. Quindi», conclude il presidente emerito della Cassazione, «non posso che esprimere convinta adesione a ogni proposta di riforma legislativa che si muova in questa direzione, prendendo atto di quella che è la realtà delle cose. Ritengo che l’organizzazione della giurisdizione ha bisogno di moduli valutativi e decisionali che si avvalgano del contributo e dell’impegno solidale di tutti i suoi protagonisti, magistrati e avvocati». Giudizio così autorevole da far arretrare ogni residua diffidenza su un riconoscimento che la classe forense reclama da anni.