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Cerciello
Si apre domani a Roma il processo di appello per la morte del vice brigadiere Mario Cerciello Rega. I due imputati, Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, vi arrivano con una pesante condanna all'ergastolo perché i giudici hanno creduto alla versione del collega di Cerciello Rega, Andrea Varriale, il quale ha sostenuto che lui e Mario si erano qualificati come carabinieri e poi erano stati assaliti dai due americani. Ma è andata davvero così? I dubbi sono molti, data la controversa condotta di alcuni esponenti dell'Arma, emersa durante il dibattimento di primo grado. Basti pensare al fatto che Varriale, l'unico vero testimone dei fatti, per timore di una punizione aveva mentito ai suoi superiori dicendo di aver avuto con sé la pistola d’ordinanza, circostanza poi smentita. Le nostre perplessità sull'operato di alcuni carabinieri si rafforzano alla luce di quanto sta emergendo nel processo costola riguardante il bendaggio dell'imputato Gabriel Natale nella caserma di via In Selci. Come già raccontato, infatti, nel processo sono state acquisite come prove documentali alcune scioccanti conversazioni tratte da chat whatsapp tra diversi militari dell'Arma. Esse sono altresì contenute nel fascicolo di un altro processo a carico del carabiniere che scattò e diffuse la foto di Gabriel. Ma pende anche un terzo procedimento a carico dell'ex comandante della stazione di Piazza Farnese, a cui viene contestato il reato di falso. Ricapitolando: sono in corso un processo principale e tre satelliti. Domanda: perché non accorpare gli ultimi tre in un unico procedimento? Per non ricostruire un quadro preoccupante della condotta dei carabinieri, una sorta di "dividi e sminuisci"? Tornando alle chat, le abbiamo lette ma, per coerenza con la posizione di questo giornale, ve le racconteremo e non faremo i nomi delle persone coinvolte, in quanto anche per loro vale la presunzione di innocenza, o il diritto a non essere dileggiate se non coinvolte in prima persona nel procedimento. Però non possiamo sottrarci dal giudicarle stupefacenti per la loro gravità, essendo state pronunciate da chi dovrebbe rispettare le regole, garantire il rispetto dei principi dello Stato di Diritto, custodire responsabilmente cittadini privati della libertà personale. Vi abbiamo già raccontato che Gabriel viene bendato e ammanettato dietro la schiena; subisce poi una sorta di interrogatorio in assenza del suo avvocato. E non sappiamo per quanto sia andato avanti tutto questo. Prima, durante e dopo questi momenti concitati nelle chat si scatena la peggiore violenza verbale che inneggia anche a quella fisica, verso entrambi gli indagati. Ci si augura che vengano ammazzati, oppure sciolti nell'acido, insomma che gli venga fatta fare la fine di Cucchi. E ad un carabiniere che accenna all'intervento eventuale di un rappresentante Cobar che aveva detto che i due ragazzi non si dovevano toccare, gli viene addirittura risposto di ammazzare pure il sindacalista. Un altro poi, con un pizzico di lucidità, suggerisce che dovrebbe essere un'altra la stazione dei carabinieri a prenderli in custodia, non quella di appartenenza della vittima, perché sostiene che è facile che ci scappi un pestaggio. Però qualche mazzata e un taglio ai genitali se li devono prendere, dice un altro, mica possono solo essere arrestati, prosegue il collega. La preoccupazione dei militari è che con le leggi che abbiamo escano subito dal carcere per buona condotta e poi gli si dedichino film e speciali tv. Tutto questo è già scandaloso ma non finisce qui perché poi arriva l'ammissione anche della violenza fisica, in nome dell'occhio per occhio e con l'invocazione della pena di morte: uno racconta che appena il sospettato è arrivato in caserma gli ha dato uno schiaffo, mentre altri gli davano ginocchiate sul petto, 'rassicurando' tuttavia che non avevano alzato troppo le mani. Oltre questo quadro allucinante di violenza verbale e fisica ce n'è un altro non meno importante e che riguarda da vicino il processo principale. È davvero chiaro quello che è accaduto quella calda e tragica notte di luglio? Sono gli stessi carabinieri a sollevare dei dubbi nelle chat, quando sostengono che gli avvocati difensori si appelleranno a qualcosa, anche perché - aggiungono - non c'è chiarezza dei fatti, tanto è vero che ammettono che tra colleghi della caserma ci si stanno scambiando opinioni perché le cose non sono chiare a nessuno, e non credono molto alla versione data da un altro collega. Probabilmente si stanno riferendo al compagno di Cerciello Rega, Andrea Varriale, che secondo loro sta nascondendo qualcosa, forse anche per paura. L'Arma, stigmatizzando questi «toni offensivi ed esecrabili», sta valutando azioni nei confronti degli autori di quelle affermazioni: «non appena gli atti con i nominativi dei militari coinvolti saranno resi disponibili, l'Arma - si legge nel comunicato diffuso dal Comando generale - avvierà con immediatezza i conseguenti procedimenti disciplinari per l'adozione di provvedimenti di assoluto rigore». E però questo quadro allarmante ci pone un grande interrogativo: possiamo fidarci, o meglio, la Corte di Assise di Appello di Roma può fidarsi delle dichiarazioni già rese o che verranno rese dai carabinieri in aula, considerato il rispetto che nutrono per le nostre leggi e tutta la cortina di fumo che aleggia su quella notte e sui giorni successivi? Tutto questo scenario non dovrebbe sollevare un ragionevole dubbio a favore degli imputati che hanno sempre dichiarato che Cerciello Rega e Varriale non si sono qualificati quando sono intervenuti?