PHOTO
magistrati
I dati sul concorso per l'accesso in magistratura stanno restituendo un quadro allarmante della preparazione degli aspiranti togati: come riportato dal sito del Ministero della Giustizia, è bassissima la percentuale degli idonei al concorso per 310 posti, bandito nel 2019 ma le cui prove scritte, a causa della pandemia, si sono tenute solo lo scorso luglio. Su 2152 compiti corretti, solo 127 sono stati promossi, ossia il 5,9% di quelli esaminati. Sinora la Commissione esaminatrice ha corretto più della metà degli scritti, in base ai dati aggiornati al 31 gennaio. La scorsa estate si erano presentati per sostenere le prove 5827 candidati ma consegnarono in 3797. Il tema estratto per il diritto civile riguardava il «danno biologico, danno morale e personalizzazione del danno», quello per diritto penale la «natura della responsabilità dell’ente per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio». Se il trend così alto di bocciature dovesse proseguire, il rischio concreto è di non riuscire a coprire i posti banditi. A mettere in evidenza le dimensioni del problema è anche il raffronto con l'esito di un altro concorso molto selettivo: quello per 400 posti da notaio, bandito nel 2019. La correzione delle prove scritte, consegnate da 1577 candidati, è cominciata il 18 gennaio di quest'anno, riferisce l'Ansa. E alla data del 31 gennaio scorso su 41 elaborati esaminati gli idonei sono risultati 6, cioè il 17%. Una percentuale più che doppia rispetto a quella dei promossi tra gli aspiranti magistrati. Un problema non nuovo e che «deve essere affrontato», ha sottolineato in più occasioni la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Preoccupazione sulla formazione degli aspiranti magistrati è stata espressa anche dal primo Presidente di Cassazione Curzio che, all'ultima inaugurazione dell'Anno giudiziario, ha sottolineato: «Le ultime esperienze concorsuali (per l’accesso alla magistratura, ndr) mostrano una costante difficoltà nel coprire tutti i posti banditi, facendo sorgere il ragionevole dubbio che molti corsi universitari non riescano a fornire le basi per il superamento del concorso». D'altra parte nelle scorse settimane, Il Dubbio aveva affrontato la questione con la Consigliera del Cnf Francesca Sorbi e con il professor Giovanni Pascuzzi. Era emerso che la riflessione va ricondotta in quella più ampia sulla preparazione del laureato in giurisprudenza ad affrontare i concorsi pubblici e che bisogna porsi una domanda fondamentale: i corsi di laurea in Giurisprudenza non sono più quelli di una volta oppure non sono ancora ciò che dovrebbero essere? Proprio a tal proposito il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale all’Università degli studi di Milano, consigliere della ministra della Giustizia e componente del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura, parlando al Dubbio aveva auspicato una riforma del corso di laurea in legge «prevedendo esercitazioni e prove scritte obbligatorie nelle varie materie, a partire da quelle oggetto delle prove scritte nel concorso per magistratura e nell’esame di avvocato. La didattica per le professioni legali e per i concorsi o esami di abilitazione non può essere estranea all’università, a quella pubblica in specie, ed essere rimessa a corsi privati, come oggi per lo più avviene». La necessità di un cambiamento è condivisa anche dall'Unione Praticanti Avvocati che, con la Presidente Claudia Majolo, fa sapere che nei mesi scorsi si sono svolti incontri istituzionali presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca duranti i quali è stata condivisa la proposta di riforma. Secondo l'Upa, in affiancamento alla didattica tradizionale, occorre introdurre dei veri e propri laboratori di scrittura. «In tali laboratori - scrive Majolo in una nota - lo studente sarà chiamato a redigere in prima persona pareri e atti giudiziari, così da apprendere le migliori tecniche di scrittura. Inoltre, si è proposto di creare delle “cliniche legali”, permettendo agli studenti di confrontarsi e affrontare – sotto la guida e la responsabilità del docente – dei casi concreti». Con riguardo alla specializzazione, invece, la proposta di Upa «prevede la rimodulazione del corso di laurea in due momenti: un percorso triennale comune e un biennio di specializzazione, strutturato a seconda del percorso che lo studente decide di intraprendere».