Ainis: «Con Draghi al Colle rischiamo un corto circuito costituzionale»
Secondo il costituzionalista Michele Ainis la legge che regolerebbe un eventuale passaggio del premier al Colle è «di dubbia legittimità costituzionale»
Secondo il costituzionalista Michele Ainis la legge che regolerebbe un eventuale passaggio di Draghi al Colle è «di dubbia legittimità costituzionale» e «la straordinarietà di questa fase dovrebbe condurre i partiti a un’elezione rapida e con un’ampia maggioranza».
Professor Ainis, quale difficoltà incontrerebbe il passaggio di Draghi al Colle?
Il passaggio creerebbe qualche innovazione perché sarebbe un inedito. Ma si può fare, altrimenti i costituenti si sarebbero espressi per un’incompatibilità.
Eppure, come fatto notare su Twitter da Lorenzo Pregliasco, l’articolo 8 della legge 400 del 1988 spiega che «in caso di assenza o impedimento temporaneo del Presidente del Consiglio dei Ministri, la supplenza spetta, in assenza di diversa disposizione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, al ministro più anziano secondo l’età». Significa che Draghi può «disporre» chi sarà a gestire la fase della sua successione a palazzo Chigi?
È una disposizione curiosa, di dubbia legittimità costituzionale. Perché sostanzialmente crea un corto circuito nel sistema. Il sistema italiano non prevede la possibilità di revocare i ministri da parte del presidente del Consiglio, ma in base a questa norma lo stesso inquilino di palazzo Chigi avrebbe il potere di «disporre» il presidente del Consiglio reggente. Un conto è un automatismo, per cui se non c’è più il generale il comando passa al colonnello. Un altro conto, come quello in questione, è conferire al generale il potere di nominare il caporale.
Come può essere risolto il problema?
Il quadro andrebbe completato aggiungendo la possibilità dell’impedimento permanente, perché così com’è il quadro normativo ha una forte lacuna. Mi spiego. Da nessuna parte è scritto cosa succede se muore il presidente del Consiglio, cosa che potrebbe accadere. Per analogia dovrebbe essere applicato questo articolo 8 e quindi subentrerebbe il ministro più anziano. Ma seguendolo, per assurdo, alla lettera, significa che il presidente del Consiglio può fare testamento e lasciare la casa a qualcuno e la Presidenza del Consiglio a qualcun altro. La lacuna riguarda anche il caso attuale. Con Draghi eletto capo dello Stato egli stesso dovrebbe dimettersi e Mattarella dovrebbe accettare le dimissioni immediatamente, perché altrimenti Draghi rimarrebbe in carica per gli affari correnti e rivestirebbe due cariche in contemporanea. A quella legge, insomma, manca un pezzo.
Senza Draghi a capo del governo servirà un “patto di legislatura”?
Per quanto riguarda il futuro del governo credo che questa vicenda abbia creato delle fibrillazioni che gioco forza poi si rifletteranno sulla stabilità del quadro politico. Queste fibrillazioni sono indipendenti dal fatto che sia Draghi il prossimo capo dello Stato oppure no. In entrambi i casi ci sarà da rimettere a posto le cose.
Crede alla possibilità di un “governo dei leader”, del quale ormai si parla assiduamente?
Ne abbiamo viste tante durante questa legislatura e quindi una specie di direttorio dei segretari di partito potrebbe essere l’ennesima novità. Ma l’assenza di leader politici nella squadra dei ministri, eccetto Speranza, è stato fin qui un fatto di stabilità e ha permesso ai partiti di scaricare la responsabilità delle scelte, che a volte sono state difficili e impopolari, sul governo “tecnico”.
Che però di tecnico ha ben poco, vista l’alta presenza di politici, anche di lungo corso.
Ciò che conta è che il governo è guidato da un non parlamentare. Tuttavia il punto non è se la carica di presidente del Consiglio sia compatibile con quella di capo dello Stato, ma se la carica di presidente del Consiglio sia compatibile con una figura tecnica. Tre governi di questa legislatura sono stati retti da persone non elette in Parlamento, come fu per il governo Renzi.
Forse è anche per questo che si parla, con Draghi al Colle, di rendere “politico” il futuro esecutivo. Pensa che ci riusciranno?
Paradossalmente, il fatto di sottolineare il carattere politico del prossimo esecutivo, se ci sarà, può renderlo più fragile, non più stabile, perché sarebbe più difficile per i partiti sottoscrivere provvedimenti che oggi possono facilmente addossare a Draghi.
Crede che l’attuale quadro politico favorisca di più, nella corsa al Colle, personalità tecniche come Cartabia o lo stesso Draghi oppure figure prettamente politiche come Amato o Casini?
Tutti i presidenti della Repubblica avevano avuto in passato esperienze politiche. La “verginità politica” di personaggi come Draghi o Cartabia è venuta meno nel momento in cui hanno accettato i propri incarichi. Quindi sono assolutamente quirinabili. Se noi assumiamo che abbia la qualifica di “politico” chiunque abbia assunto cariche politiche, allora tutti i ministri tecnici diventano politici nel momento in cui partecipano a un governo, come accadde per Ciampi che fu anche presidente del Consiglio.
Dunque non avremo mai un tecnico al Quirinale.
Per tecnico s’intende qualcuno preso dalla società civile, come quando si parlava di Gino Strada, Stefano Rodotà o Milena Gabanelli. Ma quella del tecnico o del politico “puro” è una mitologia. La politica può essere una professione da esercitare per tutta la vita oppure per una fase della vita. Lo stesso Berlusconi prima di diventare un politico era un tecnico, un imprenditore.
Nel suo ultimo libro ragiona sulle migliaia di “presidenti” che ci sono in Italia. Pensa sia un problema della politica pensare come prossimo presidente della Repubblica all’attuale presidente del Consiglio?
Questa è una buona osservazione. Gli italiani sono 60 milioni ma in questi mesi è sembrato che fossero due o tre. Questo gioco dell’oca è cominciato con il tandem Mattarella-Draghi e ora siamo al punto di partenza. Poi certo è difficile che al Quirinale ci vada un turista per caso, quindi per certi versi è più probabile che lo diventi qualcuno che abbia già rivestito ruoli istituzionali. Ma in Italia personalità del genere sono molte, forse troppe, perché la Pubblica amministrazione è un’officina con mille stanze, e quindi i “presidenti”, attuali o ex, sono migliaia.
In che modo la pandemia influenzerà sulle procedure di voto?
Mi auguro che si possa assicurare la piena partecipazione di tutti gli elettori. Altrimenti si introdurrebbe un elemento di casualità nella scelta ma mi pare di capire che questo problema sia stato risolto. Lo sfondo dell’emergenza però resta, e dunque è giusto chiedersi se sia corretto che un regime straordinario generi la massima carica ordinaria della Repubblica, che appunto è la sua presidenza.
Cioè?
La straordinarietà di questa fase dovrebbe condurre, se ci fosse consapevolezza nei partiti del momento che stiamo attraversando, a un’elezione rapida e con un’ampia maggioranza. Che tutto sommato è ciò che è accaduto durante la formazione del governo Draghi. C’era un vero e proprio impasse politico che non prometteva nulla di buono. Servì un appello di Mattarella alla responsabilità nazionale e si formò il governo con la maggioranza più ampia della storia repubblicana. C’è da augurarsi che la stessa maggioranza possa riproporsi anche questa volta, già nella prima o nella seconda votazione.
In quel caso solo Draghi sembra essere capace di raccogliere un così ampio consenso.