Cassazione decapitata: annullate le nomine di Curzio e Cassano
Clamorosa doppia sentenza del Consiglio di Stato: accolti i ricorsi di un altro candidato alle due più alte cariche della Suprema corte, Angelo Spirito, contro le decisioni con cui il Csm gli aveva preferito i vertici appena decaduti. Curzio non è più primo presidente, Cassano non è più la prima presidente aggiunta donna della storia. Venerdì Curzio avrebbe dovuto pronunciare il discorso inaugurale alla cerimonia dell’Anno giudiziario in piazza Cavour
Venerdì prossimo, 21 gennaio, si inaugura l’anno giudiziario. Cerimonia solenne. Come sempre in Cassazione. Ad aprirla dovrebbe essere il discorso pronunciato dal primo presidente della Suprema corte. Una relazione sullo stato della giustizia. Dovrebbe andare così. Ma da stamattina, c’è il timore e l’incertezza su cosa avverrà. Perché con la sentenza numero 268 del 2022 depositata oggi, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso avverso la nomina dell’attuale primo presidente della Cassazione Pietro Curzio, ora formalmente decaduto dalla carica. Più precisamente, la massima giurisdizione amministrativa ha accolto l’atto con cui un altro aspirante alla presidenza della Cassazione, Angelo Spirito, aveva impugnato una precedente sentenza del Tar Lazio, che nel 2021 aveva bocciato l’istanza dello stesso Spirito avverso la nomina, decisa dal Csm, di Curzio. E non è finita qui. Perché con altra sentenza fotocopia, la numero 267 del 2022, sempre la quinta sezione del Consiglio di Stato (identici il presidente, Luciano Barra Caracciolo, e l’estensore, Alberto Urso) ha accolto un altro, analogo ricorso con cui Angelo Spirito aveva chiesto di annullare anche la nomina del presidente aggiunto della Suprema corte, Margherita Cassano.
E ora chi inaugura, venerdì, l’anno giudiziario in Cassazione?
Giustizia decapitata, dunque. Priva delle sue più alte espressioni. Clamoroso e impensabile. Anche perché deciso, appunto, a una settimana esatta dall’inaugurazione dell’anno giudiziario. Un dato persino drammatico. Che, come accennato in partenza, impone intanto un interrogativo pratico a cui, al momento, nessuno è in grado di dare risposta certa: chi pronuncerà il discorso inaugurale e solenne alla cerimonia di venerdì prossimo? Fra le febbrili ipotesi che circolano a piazza Cavour, e in tutte le chat della magistratura, si dà per probabile la replica di quanto avvenuto con un caso solo in parte analogo verificatosi in passato: la sospensione decisa dal giudice amministrativo dell’allora primo presidente Carbone. Allora, a inaugurare l’anno giudiziario fu il presidente di sezione più anziano per ruolo, Nicastro, che guidava la terza. Potrebbe finire in modo analogo: attualmente, il presidente di sezione più anziano è Grazia Lapalorcia, al vertice della terza penale. Forse, nel drammatico showdown che investe l’ordine giudiziario, il fatto che il discorso possa comunque essere affidato, per la prima volta nella storia, a una donna, offre uno spiraglio di significativa novità in parte attenuativo del generale sfacelo.
Il Csm bocciato ancora e la riforma fantasma chiesta dal Colle
Chiedersi quali potranno essere il clima e la scena della cerimonia del 21 gennaio, d’altronde, non è una curiosità da cronisti ma una domanda essenziale, in un momento in cui la magistratura è piegata sotto il peso della propria crisi. All’inaugurazione di piazza Cavour gli affanni della giustizia saranno rappresentati plasticamente in tutta la loro gravità. E il tutto avverrà alla presenza del presidente della Repubblica tuttora in carica, Sergio Mattarella. Il quale ha inutilmente chiesto per mesi che alla crisi dei magistrati si rispondesse con un’adeguata riforma. Nonostante gli appelli del Quirinale, di quella riforma si sa nulla o quasi. Le proposte governative per completarla, formulate dalla guardasigilli Marta Cartabia, sono ferme da un mese a Palazzo Chigi. Se la cena dell’hotel Champagne è l’acme del fragoroso e imbarazzante avvitarsi del correntismo, la decapitazione della Suprema corte sancita con le due sentenze di oggi ne è la solenne e mortificante certificazione. Soprattutto perché le due pronunce non mettono in discussione tanto lo spessore, il prestigio, la rispettabilità dei due magistrati i cui titoli sono stati ritenuti inferiori rispetto a quelli di Spirito, che in Cassazione presiede attualmente la terza sezione civile. Il problema non sono i due vertici decaduti, ma il Csm. È il Csm che, nel plenum del 15 luglio 2020, aveva nominato, quasi all’unanimità (nessun voto contrario e un solo astenuto, Stefano Cavanna, laico eletto su indicazione della Lega), Curzio e Cassano primo presidente e primo presidente aggiunto della Cassazione (e riguardo Cassano, fino ad allora presidente della Corte d’appello di Firenze, si era trattato della prima donna che assumesse almeno la seconda più alta carica della Suprema corte).
Spirito difeso da Scoca, luminare del diritto amministrativo
Ma secondo il Consiglio di Stato, il Csm ha deciso nonostante ci fosse qualcuno, Spirito appunto, che vantasse titoli più validi. Ad argomentare il dato, che forse in primo grado il Tar Lazio non aveva avuto il coraggio di riconoscere, è stato il difensore di Spirito, Franco Gaetano Scoca, professore emerito di Diritto amministrativo alla Sapienza e in passato preside di Giurisprudenza alla Luiss. È chiaro che viene così colpito il cuore dei malanni che affliggono l’ordine giudiziario: le nomine dei capi, gli incarichi direttivi. Stabiliti appunto dal Csm con margini di discrezionalità adoperati, evidentemente, con tale arbitrio da urtare contro i principi del diritto.