Capitol Hill, Washington, 6 gennaio 2021. A un anno di distanza lungo i corridoi del Congresso americano ancora serpeggia la paura, rimbomba l'eco delle urla concitate e animalesche di una folla minacciosa e indemoniata, e quello dei passi di deputati e senatori in fuga, in cerca di riparo. Le aule e le stanze del tempio della democrazia americana, ormai rimaste indifese, venivano profanate, mentre fuori la folla continuava a premere, in nome della "grande bugia" delle elezioni rubate da
Joe Biden e dai democratici.
Del resto, dal palco montato a due passi da Capitol Hill, poco prima era stato proprio l'ex presidente
Trump a chiedere di ribaltare l'esito del voto, dopo il fallimento delle cause intentate nelle aule di tribunale. È fu la miccia che scatenò l'inferno, dando il via al giorno più buio della democrazia americana. Trump - sostengono i detrattori - non avrebbe alzato un dito per fermare quanto stava accadendo, anche di fronte ai figli che lo imploravano di intervenire per evitare il peggio. Sarà la commissione di inchiesta del Congresso a stabilire se e quanto l'ex presidente, già sfuggito a due impeachment, sia responsabile di quanto accaduto.
Capitol Hill, una ferita ancora aperta
Intanto, a un anno di distanza, la ferita è ancora aperta e
l'America un Paese ancor più diviso. La sfida tra Donald Trump, 75 anni, e Joe Biden, 79 anni, è tutt'altro che esaurita. L'ex presidente proprio nel giorno della ricorrenza dei drammatici fatti punta a rilanciare con una conferenza stampa dalla sua residenza di
Mar-a-Lago, in Florida, la destabilizzante teoria complottista delle elezioni rubate, senza arretrare di un millimetro, preparando il terreno per la grande rivincita: prima alla elezioni politiche di metà mandato il prossimo novembre, dove i democratici rischiano di perdere la maggioranza in entrambe le camere, poi nel 2024 nella corsa alla
Casa Bianca, in prima o per interposta persona. Nelle stesse ore Biden e la vicepresidente
Kamala Harris, in piena crisi di popolarità, parteciperanno a una cerimonia per ricordare le vittime di quel drammatico 6 gennaio di un anno fa, cinque in tutto,
a cui vanno aggiunti almeno altri cinque poliziotti morti suicidi a distanza di settimane, di mesi. Poliziotti lasciati quel giorno da soli a contrastare un mare inarrestabile e che non hanno sostenuto il peso dell'orrore vissuto.
La Commissione di inchiesta voluta fortemente dai democratici e sostenuta dal fronte repubblicano anti-Trump negli ultimi giorni ha raddoppiato i suoi sforzi per giungere a delle conclusioni e impedire all'ex presidente di riprendere slancio. A pagare per ora sono i tanti rivoltosi indagati e processati dalla giustizia americana, spesso condannati a pene severe. Anche se a cadere, non senza polemiche, è l'accusa più pesante rivolta a suo tempo da Casa Bianca,
Dipartimento di giustizia ed Fbi: quella di terrorismo interno, finora ripetutamente respinta nelle aule di tribunale. Un accusa che metterebbe i circa 700 assalitori di Capitol Hill sullo stesso piano con gli attentatori di
Oklahoma City del 1995, legati gruppi antigovernativi.