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Con la riforma in arrivo, anche gli avvocati potranno far parte dell'ufficio Studi e documentazione del Csm
Nei giorni scorsi si sono verificate le vibrate proteste degli avvocati Renato Borzone e Roberto Capra, che hanno denunciato di aver subito l’interruzione del loro controesame dei testi da parte di un giudice della Corte di Assise di Roma. Il caso ha indotto altri avvocati a segnalare simili comportamenti censori da parte dei magistrati. Abbiamo interpellato due giuristi per conoscere il loro punto di vista: l’avvocato Augusto Conte, decano del Foro di Brindisi, fondatore, con Oronzo Melpignano (al quale è intestata) della locale Camera penale, ed il professor Oliviero Mazza, avvocato e professore ordinario di Diritto processuale penale nella Università Bicocca di Milano. «In base alla mia lunghissima esperienza professionale – afferma l’avvocato Conte - siamo passati dal sospetto della vis grata puellae, con una svolta, per l’intervento in un famoso processo di Tina Lagostena Bassi, nel quale vi fu una rivisitazione del modo di presupporre quella che comunemente veniva definita appunto la vis grata puellae con la concentrazione del processo e dell’istruttoria sulla vittima. Successivamente siamo passati ad una presunzione di responsabilità per gli abusi sessuali. Faccio questa premessa per agganciarmi a quanto Il Dubbio sta facendo conoscere. A parte il temperamento dei singoli magistrati, voglio rilevare che anche i magistrati con esperienza non si sottraggono a quello che è quasi un giudizio morale più che giuridico. Il giudizio morale comporta che il magistrato si inserisca durante le fasi dell’esame soprattutto della parte civile e della persona offesa, intervenendo qualche volta anche a sostegno». Conte parla con cognizione di causa: «A me è capitato recentemente in un processo nel quale vi è stata una condanna a cinque anni e sei mesi, poi risolta in appello, nel quale le domande venivano filtrate dal presidente che qualche volta veniva in soccorso della parte civile, quando era in difficoltà. Nella specie si trattava di un abuso sessuale compiuto su una persona, presunta ubriaca, la cui ubriachezza era stata esclusa da un certificato medico. L’intervento di magistrati di spessore ed esperienza, che non riescono a sottrarsi ad un giudizio che non è rigorosamente tecnico-giuridico, fa riflettere. Molto dipende dal processo e dalle circostanze». Secondo l’avvocato Conte, «per alcuni reati, come l’abuso sessuale, emerge una maggiore propensione dei giudici ad intervenire. Siamo passati a una cultura del sospetto e della esistenza del reato, contrariamente a quanto avveniva in passato». «Si attribuisce – prosegue - maggiore credibilità alla testimonianza delle vittime o presunte tali. Nella mia esperienza ho rilevato questo. Molto dipende anche dalle caratteristiche del magistrato che quasi certamente agisce in perfetta buona fede. Nei processi più delicati è richiesto ancora più equilibrio da una parte e dall’altra. Quando si afferma che il cittadino si aspetta la decisione in nome del popolo italiano significa che ci si aspetta una dichiarazione improntata al diritto e non a principi morali. L’ordinamento giudiziario verrebbe scardinato se facessero il loro ingresso i giudizi morali estranei a quelli tecnici e giuridici». Il professor Oliviero Mazza si spinge più in là a proposito della condotta di alcuni giudici. «Nei casi della cronaca degli ultimi giorni – afferma - ravviso violazioni di norme processuali che possono comportare anche la nullità dell’atto probatorio. Tali casi denotano una indebita anticipazione di giudizio da parte del giudice che potrebbe giustificare la ricusazione dello stesso. Siamo al di fuori dell’articolo 124 del Codice di procedura penale, perché si tratta di norme processuali che sono provviste di sanzione per il caso della loro inosservanza. Limitare il diritto di difesa in modo indebito è una condotta del presidente del collegio che può determinare la nullità dell’atto probatorio. Un atto compiuto in violazione delle regole che garantiscono il controesame è un atto nullo per violazione del diritto di difesa. Con l’impugnazione si potrà far valere questa invalidità. La giurisprudenza di legittimità non è molto incline ad accogliere questo tipo di denuncia da parte della difesa, nel senso che prevale lo spirito di conservazione dell’atto probatorio. Questo comporta che seppur sia presente la previsione di nullità, non sempre la stessa viene rilevata nei gradi di impugnazione». Le preoccupazioni dei difensori sono fondate. «Comprendo – prosegue Mazza - lo sconforto dei difensori. Una reazione estrema che si può adottare in questi casi è l’abbandono di difesa. Rinunciare al mandato e segnalare a verbale che è stato gravemente leso, se non addirittura impedito, il diritto di difesa. Si tratta di una denuncia molto forte con delle conseguenze. Il difensore potrà essere sottoposto a procedimento disciplinare, ma davanti al Coa potrà far valere le ragioni dell’abbandono di difesa vale a dire la tutela dello stesso diritto di difesa. Le norme del codice che devono essere osservate anche quando non presidiate dall’invalidità - e questo dovrebbe avvenire nella misura in cui per i magistrati è un dovere deontologico, quello di osservare comunque le norme codicistiche, come dice l’articolo 124 del Codice di procedura penale -, non hanno un riferimento nella giurisprudenza del Csm. Credo che non ci sia mai stato un provvedimento di sanzione disciplinare per inosservanza dell’articolo 124 del Codice di procedura penale. È una norma questa sostanzialmente non precettiva, abrogata per desuetudine. Ci troviamo in un sistema in cui la procedura penale vive in una dimensione del tutto autonoma che è quella della applicazione giurisprudenziale».