«Parlando a titolo personale e di avvocato, non da vicepresidente del
Csm, sono un po’ scettico. Se esce la notizia che un personaggio noto è indagato, il danno è già fatto. La presunzione di innocenza è un problema di cultura che riguarda polizia giudiziaria, pm, gip, in primis. Il problema allora è inculcare nella società civile il fatto che la persona indagata è tale perché viene messa nelle condizioni di difendersi.
Le categorie degli “archiviati”, dei “citati nelle intercettazioni” sono termini giornalistici che devono essere superati. La presunzione di innocenza allora deve entrare a far parte del patrimonio culturale del cittadino fin dalla scuola primaria». Così il vice presidente del Csm,
David Ermini, nell’ambito della seconda sessione, dedicata all’adeguamento alla direttiva europea sulla presunzione di innocenza, del convegno “Nuove sfide per una magistratura che cambia", organizzato dall’associazione di magistrati
Unicost, presso l’aula magna della Corte di Cassazione, in Roma.
Presunzione d'innocenza: le opinioni di Chinnici, Ciambellini e Maddalena
Positiva, rispetto all’attuazione della normativa, l’europarlamentare
Caterina Chinnici: «Il nostro Paese è tra quelli allo stadio più avanzato nell’attuazione della direttiva europea in parola e di altre direttive in materia di processo penale. La direttiva 343 fa parte del cammino intrapreso dall’Unione Europea verso la costituzione di uno spazio europeo di Giustizia». «La direttiva racchiude due principi fondamentali: presunzione di innocenza e diritto di partecipare al processo». Per
Michele Ciambellini, consigliere Csm, «l’articolo 27 comma 2 è già presente nella Costituzione: era davvero necessario questo rafforzamento? Forse già da tale principio si poteva evincere la necessità di continenza nel linguaggio del giudice». «La stampa deve essere indipendente e i magistrati devono essere indipendenti dalla stampa», ha poi rimarcato. «Per quanto tempo può durare questa presunzione nella società civile, fino al giudizio di legittimità? In Italia c’è un problema legato alla lunghezza del processo penale», ha concluso il magistrato. Più critica la posizione della Vice presidente di Anm,
Alessandra Maddalena: «Bisogna evitare giudizi morali nei provvedimenti giudiziari. La partecipazione continua di magistrati a talk show non consente di recuperare credibilità agli occhi della società civile». «La normativa tradisce una sostanziale sfiducia del legislatore nella magistratura ad autolimitarsi», incalza Maddalena. Fra le criticità, per la vice presidente di Anm, il dato che «il risarcimento del danno potrebbe indurre i Pm ad ammorbidire la propria posizione». La legislazione di recepimento italiana, inoltre, è anche più severa della direttiva Ue che «non limitava la modalità di comunicazione, circoscritta alla conferenza stampa, escludendo modi informali. Anche forme diverse, quando urgono tempi rapidi, dovevano essere previste, sennò i giornalisti si vanno a trovare le informazioni per vie traverse».
Presunzione d'innocenza: il parere di Grignetti, Coppi e Cafiero de Raho
Ugualmente perplesso il cronista di giudiziaria
Francesco Grignetti: «Si vuole imbrigliare con un dosaggio di parole un tema gigantesco. Il tema vero è la pubblicazione di atti sottesi a decisioni della magistratura che, da parte degli imputati, sono vissuti come violazione dei propri diritti». «Penso alla polemica di Open - il famoso conto corrente e le chat - di cui Renzi si lamenta. Il nodo qual è? Che nella procedura italiana c’è il 415 bis, nel momento in cui le indagini sono concluse e si dà informazione alle parti e sottesi ci sono atti delicati, a quel punto, se ci sono passaggi o parole esiziali per la persona, essi sono tuttavia una notizia». Ugualmente scettico il professor
Franco Coppi, in apertura del panel moderato da
Davide Varì, direttore de
Il Dubbio: «Oggi si ritiene di potere fare passi avanti imponendo determinati limiti nel flusso di informazione che dall’autorità giudiziaria perviene all’opinione pubblica per mezzo della stampa. Il Procuratore della Repubblica deve addirittura motivare sulla necessità di ricorrere alla conferenza stampa, provvedimento peraltro non impugnabile: è un sistema francamente ridicolo». Nota ancora il professore emerito della Sapienza: «Anche il procedimento di rettifica o il ricorso all’articolo 700 complicano la vita dei Tribunali: un guazzabuglio di rimedi che non porta a nulla. E poi cos’è l’interesse pubblico? Di fatto, sono parole che rimettono al Procuratore della Repubblica una discrezionalità senza limiti». Il Procuratore nazionale antimafia,
Federico Cafiero de Raho, passa in rassegna la normativa: »Con la conferenza stampa, si persegue l’obiettivo di diffondere questo concetto: delinquere non conviene«. Continua il procuratore: »Non è concesso al Pm orientare la folla rispetto alle decisioni del giudice. Quando il Pm ha svolto il proprio ruolo, può essere soddisfatto, anche se il risultato non è conforme». Critica aspramente il recepimento della direttiva il procuratore di Foggia,
Ludovico Vaccaro: »Questo intervento per me è negativo. Le esigenze di comunicazione non sono qualcosa di astratto, ma vanno calate in concreto. Cambiano se siamo in un territorio di mafia o meno o se siamo vicino o meno alla sentenza». «Il decreto legislativo limita
l’an e il quomodo della comunicazione: dietro a queste limitazioni, c’è un’ipotesi di responsabilità del Procuratore, la cui condotta è censurabile dal procuratore generale».
Presunzione d'innocenza, i commenti di Sabelli, Caputo e Viglione
Per
Rodolfo Sabelli, Procuratore aggiunto a Roma «i principi alla base della direttiva europea sono condivisibili e quasi scontati». «La scelta del codice del 1988 trovava un giusto punto di equilibrio tra le diverse esigenze sottese alla comunicazione giudiziaria, al principio di non colpevolezza e al diritto/dovere di informazione». «Come si risolve il problema del processo mediatico? Il rischio non è tanto quello dell’influenza sulla decisione del giudice, che non si fa condizionare dalla stampa, ma quello di non rispettare le aspettative colpevoliste dell’opinione pubblica, ciò conducendo ad una delegittimazione della magistratura agli occhi della società civile. Bisognerebbe immaginare un sistema in cui il giornalista sia in grado di avere un accesso diretto, trasparente alla notizia». Osserva
Gabriella Viglione, Procuratore aggiunto a Cuneo: «Perché la nuova normativa non riguarda avvocati e parti private, i giornalisti, ma solo autorità pubbliche?» Ora, per indire la conferenza stampa, serve «un provvedimento autorizzativo che il procuratore fa a se stesso» che «è quantomeno curioso, visto che fa riferimento a elementi discrezionali come la rilevanza pubblica». Anche «la rettifica è disegnata in modo bizantino». Perché «deve essere pubblicata sul giornale, e non è detto che il direttore del giornale dia corso alla richiesta di rettifica». Conclude il seminario
Giuliano Caputo, pm di Napoli: «Servono chiarezza e comprensibilità dei nostri provvedimenti, per essere capiti dai cittadini comuni». «Il tempo che passa tra l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare e la sentenza definitiva irrevocabile determina un inevitabile affievolimento dell’interesse dell’opinione pubblica». «Un altro tema fondamentale è quello della chiarezza e dell’intelligibilità dei provvedimenti giudiziari. Già la direttiva del Csm aveva orientato gli uffici giudiziari ad adottare forme di comunicazioni chiare». «Sui comunicati non ci sono problemi. Certo, c’è un aggravio per convocare la conferenza stampa, ma vedo anche una forma di responsabilizzazione per i magistrati».