«Aiutami in qualche modo». L’ex deputato di Forza Italia e penalista
Giancarlo Pittelli ha deciso di affidare il suo grido di dolore ad una lettera indirizzata alla ministra per il Sud
Mara Carfagna. Un appello fuori dalle regole, disperato, che si è rivelato un boomerang, costandogli nuovamente l’ingresso in carcere.
Alla base della decisione del Tribunale di Vibo Valentia, che ha accolto la richiesta della Dda di Catanzaro, la violazione delle restrizioni imposte dal Tribunale della Libertà al legale, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo
Rinascita-Scott.
Per i giudici, infatti, gli arresti domiciliari sarebbero del tutto inidonei «a fronteggiare le persistenti e, anzi, aggravate esigenze cautelari». Pittelli, insomma, avrebbe interferito con il processo in corso, dimostrando anche la volontà di reiterare tali interferenze, fornendo alla ministra il numero di sua moglie. E proprio per tale motivo ora si trova in carcere a
Catanzaro. «Ora temiamo davvero per la sua incolumità e che possa compiere azioni estreme. Sono molto preoccupato», dice al
Dubbio Guido Contestabile, uno dei legali dell’ex parlamentare. Che oggi depositerà il ricorso contro l’ennesima misura cautelare in carcere rimediata dal penalista, che da mesi denuncia di essere vittima di una «persecuzione giudiziaria».
Pittelli di nuovo in carcere, parla l'avvocato Contestabile
«Sicuramente ha fatto una scelta improvvida - spiega Contestabile -, ma secondo noi si tratta di una non lettera, perché non chiede alla ministra di fare alcunché, se non di aiutarlo per quanto è nelle sue possibilità.
È sicuramente una violazione delle prescrizioni, ma secondo noi non si tratta di una comunicazione, perché la comunicazione presuppone che ci siano almeno due persone e in questo caso non è così. È la lettera di un uomo disperato e la scelta di mandarlo in carcere mi appare esagerata e opinabile». La missiva, datata 8 ottobre 2021, è arrivata al ministero di Carfagna, compagna di partito di Pittelli, che però ha deciso - pur in assenza di obbligo di denuncia - di inoltrare la lettera all’Ispettorato di Pubblica sicurezza di Palazzo Chigi,
che ha dunque inviato il tutto alla Questura di Catanzaro. Da lì l’intervento della Dda, che ha chiesto al giudice di infliggere a Pittelli una misura più dura, rafforzando la propria idea di avere a che fare con un uomo che agisce consapevolmente al di fuori delle regole. A partire dall’incipit dellla lettera: «Cara Mara - si legge -, non potrei avere rapporti di corrispondenza con nessuno ma ti prego di credere che sono ormai disperato».
Pittelli: «Sono in mano a dei folli»
L’ex parlamentare sostiene di ritrovarsi agli arresti «in ragione di accuse folli formulate dalla procura di Gratteri e asseverate dalla giurisdizione asservita. L’accusa di concorso esterno rimessa in piedi nei miei confronti consisterebbe nell’avere rivelato ad esponenti della cosca di ‘ndrangheta denominata Mancuso il contenuto dei verbali secretati delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella. L’indizio sarebbe rappresentato dal contenuto di una conversazione captata nel corso della quale, il 12 settembre 2016, io, interloquendo con un cliente, ho affermato: “Dice (dicunt) che ha scritto (il pentito) una lettera alla madre e che accusa il fratello”. La Cassazione - aggiungeva - ha preso atto del fatto che dalla lettera scritta dal pentito alla madre i quotidiani calabresi ne avevano già parlato alcune settimane prima del 12 settembre 2016. Di contro ha ritenuto efficace il riscontro costituito dall’affermazione circa le accuse mosse nei confronti del fratello: fatto che avrei potuto apprendere soltanto dalla lettura dei verbali non estesi».
Pittelli e le dichiarazioni del pentito
Ma l’accusa nei confronti del fratello, spiegava Pittelli, si sarebbe verificata mesi dopo il 12 settembre 2016, motivo per cui «vi è la prova in atti che la mia altro non era che la corretta lettura di una previsione agevolissima da compiere, attesa la caratura criminale della famiglia del collaboratore». Nella lettera, Pittelli, sostiene l’esistenza in atti della prova della «manipolazione» di un’altra captazione ambientale, relativa alle dichiarazioni del pentito: «Io affermo di non poter dare consigli in quanto “non sappiamo cosa dirà costui”. Gli inquirenti aggiungono alla frase l’avverbio “ancora” (la perizia trascrittiva lo dimostra indicandomi quale soggetto proteso comunque, alla ricerca dei verbali)». Ma Pittelli sostiene di aver parlato con i suoi clienti soltanto della «esistenza di verbali con 250 omissis e da qui la considerazione dell’effetto devastante che avranno le dichiarazioni del pentito sulla criminalità del comprensorio. Tutto qui. Non ti nascondo nulla, ti rappresento la verità dei fatti. Stiamo preparando una nuova istanza nel merito e un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sgarbi proporrà come primo firmatario», interrogazione in realtà mai presentata.
Pittelli: «Sono innocente, non abbandonatemi»
«Ti chiedo di non abbandonarmi perché sono un innocente finito nelle grinfie per ragioni che ti rivelerò alla prima occasione.
Aiutami in qualunque modo. Io vivo da due anni in stato di detenzione, finito professionalmente, umanamente e finanziariamente - si legge ancora -. Tutto ciò non è giusto. A tutto questo aggiungi che non sono mai stato interrogato dai magistrati del Pm, né dal gip dopo essermi avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia.
Non avevo avuto il tempo di leggere le 30mila pagine di ordinanza e richiesta». Nel chiudere la lettera, Pittelli fornisce dunque a Carfagna il numero della moglie, confidando sull’immunità parlamentare che tutelerebbe la ministra, anche se «talvolta qualcuno se ne dimentica di proposito».
La decisione dei giudici su Pittelli
Per i giudici, però, «Pittelli ha consapevolmente trasgredito alle prescrizioni impostegli con il provvedimento di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nella parte in cui fa divieto di colloquiare o comunicare anche per telefono o con sistemi telematici con persone diverse da quelle che con lui coabitano.
Peraltro dalla missiva emerge, altresì, la volontà di reiterare la violazione, laddove l’imputato invita il destinatario a contattarlo su un’utenza telefonica dallo stesso fornita e indicata come in uso alla coniuge - affermano i giudici -. Pittelli manifesta la volontà di instaurare contatti con la precipua finalità di incidere sul regolare svolgimento del processo, in cui è ancora in corso la complessa istruttoria dibattimentale, consistente, tra l’altro, nella trascrizione peritale di un compendio intercettivo corposissimo e nell’escussione di centinaia di testimoni».