C’è un clima strano, attorno alla legge
sull’ergastolo ostativo. Segnato da una implicita tentazione di “correggere” la Corte costituzionale, che a maggio ha bollato come illegittima la preclusione assoluta della liberazione condizionale per i mafiosi
(e per i terroristi) condannati al “fine pena mai” e non disponibili alla “collaborazione”. C’è una ostilità latente, innanzitutto nella “vecchia” alleanza giallorossa, all’idea di una legge che applichi fino in fondo il dettato della
Consulta.
Ergastolo ostativo, come si muove la politica
L’eco politica
mainstream di tale orientamento è per esempio nelle parole pronunciate martedì scorso da Enrico Letta alla “agorà” voluta dai dem con
M5S e Leu, oltre che con magistrati e giuristi, proprio sull’ergastolo ostativo: «L’occasione del Recovery va colta, ma la cosa peggiore è farlo senza avere alta l’asticella verso l’aggressione mafiosa». Il titolo dell’incontro, organizzato dal
Pd senza “pubblico”, è in realtà correttissimo: “Combattere le mafie difendendo la Costituzione”. La legge in materia di
ergastolo ostativo in discussione alla Camera è dettata da un’ordinanza della Corte costituzionale: la numero 97 dello scorso 11 maggio. In quella occasione il giudice delle leggi ha chiarito che dalla mancata collaborazione con la giustizia non si può far discendere una presunzione assoluta di mancato ravvedimento, e di persistente pericolosità, a carico del boss (o del terrorista) detenuto in regime di 4 bis, cioè di
ostatività, rispetto alla concessione dei benefici.
Perché è illegittimo l'articolo 4 bis
Ecco: la Corte ha definito illegittimo l’articolo
4 bis dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui esclude sempre e comunque dalla liberazione condizionale chi non collabora con i magistrati. È stata chiara, ha ricordato che in gioco ci sono l’articolo 27 della Costituzione
(ossia l’umanità e il fine rieducativo della pena) e il principio di ragionevolezza riconducibile all’articolo 3. Ha chiesto al Parlamento non di aggirare la Carta,
ma di specificare le misure necessarie a tutelare, con quei principi,
anche la sicurezza collettiva. Semplice. Eppure, la legge che è all’esame della commissione Giustizia di Montecitorio annovera vari passaggi in cui si cerca di snaturare la decisione della Consulta. E proprio all’agorà dell’altro giorno, l’intervento di
Pietro Grasso ha confermato l’impressione di una “sfida latente” che, col testo adottato alla Camera, si pensa di lanciare al giudice delle leggi. L’ex presidente del Senato, attuale esponente di Leu a
Palazzo Madama, non critica frontalmente l’ordinanza della Corte costituzionale. Però sostiene che la precedente pronuncia della
Cedu in materia, sempre “demolitoria” rispetto alla preclusione assoluta dei benefici per gli ergastolani che non collaborano, è in sostanza un errore: la Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo Grasso,
«ha sottovalutato la peculiarità delle organizzazioni mafiose». Giudizio legittimo, anche se poco coerente con i principi di umanità della pena che sono contenuti anche nella Convenzione europea. Ma Grasso ha detto anche un’altra cosa: «La Corte costituzionale», la Corte italiana, «dovendosi muovere nel solco tracciato dalla Cedu, ha lasciato al Parlamento il tempo per intervenire».
Ergast0lo ostativo, cosa aveva scritto la Consulta
Sembra un modo per dire che anche il giudice delle leggi italiano ha prodotto una pronuncia sbagliata, ma che ha almeno l’attenuante di esservi stato costretto, perché non poteva discostarsi, appunto, dall’organismo sovranazionale.
In realtà la Consulta è stata netta nel dire, con l’ordinanza di maggio ma già con una precedente sentenza sui permessi premio, che considerare assoluta la presunzione di persistenza dei legami tra il detenuto e la mafia in virtù della mancata collaborazione contraddice il principio di ragionevolezza, oltre che il fine rieducativo della pena sancito all’articolo 27. Leggere l’ordinanza 97 come se fosse il prodotto di un’imposizione della Cedu è un modo per sfidare quasi le ragioni di diritto alla base del decisione. In generale il clima sulla legge, in Parlamento, sembra proprio alludere alla necessità di correggere la Corte costituzionale.
Il testo base adottato lo scorso 17 novembre dalla commissione Giustizia è un po’ meno estremo della proposta iniziale presentata dal Movimento 5 Stelle, ma è comunque irrigidito da previsioni ai limite dell’irragionevole. Su tutte, l’idea per cui l’ergastolano ostativo che non scelga di collaborare e aspiri alla liberazione condizionale debba fornire elementi tali da dare al giudice la «certezza» dell’assenza di legami, presenti e futuri, con l’organizzazione criminale. In pratica il magistrato di sorveglianza, secondo il testo adottato alla Camera, avrebbe modo di concedere il beneficio solo di fronte a elementi in realtà impossibili da acquisire. Una sorta di trappola giuridica che porterebbe alla disapplicazione dell’ordinanza di maggio.
Ergastolo ostativo, se ne riparla il 7 dicembre
Il testo è stato messo a punto da
Mario Perantoni, deputato 5 Stelle e presidente della commissione Giustizia. Perantoni ha preso parte all’agorà del Pd sull’ergastolo ostativo, e ha detto una cosa aderente al vero: sulla sua proposta c’è stato «il consenso di tutti». Certo, si tratta dell’articolato di partenza, ma spesso le trattative sul testo base più serrate: e invece,
il comitato ristretto individuato nella commissione ha visto convergere il Pd come Forza Italia. Dagli azzurri, e da pochi altri partiti, per esempio Italia viva, viene ribadita l’intenzione di proporre emendamenti migliorativi del testo. Il termine è vicino,
è fissato al 7 dicembre. Ma l’impressione è che gli snodi cruciali dell’articolato non verranno più toccati. Chi ci provasse, rischierebbe di passare per colluso. Ci sono altri aspetti discutibili. Fra gli altri, il superamento di un principio che finora aveva lasciato aperto uno spiraglio per gli ergastolani: quello relativo alle “collaborazioni inesigibili”, cioè ai casi in cui, per esempio, il detenuto non rivela alcunché alla magistratura semplicemente perché la cosca non esiste più da decenni.
Ma colpisce anche l’assimilazione, al “fine pena mai”, delle condanne a termine: non potrebbe accedere alla liberazione condizionale, per esempio, l’ex calciatore Fabrizio Miccoli, come spiegato ieri sul Dubbio da Simona Giannetti. Sullo sfondo c’è anche il tentativo di reintrodurre l’esonero dei giudici di sorveglianza territoriali, inizialmente proposto dai 5S: il Movimento depositerà certamente un emendamento sul punto, a maggior ragione dopo le sollecitazioni arrivate dal consigliere Csm
Nino Di Matteo. Verrebbe tradito il principio della prossimità del giudice rispetto al luogo di detenzione. Un altro stravolgimento che confermerebbe la logica di sfida alla pronuncia costituzionale. Stavolta, le posizioni garantiste sono ridotte al limite dell’afasia.