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Brittney Poolaw, una ragazza di 21 anni dell’Oklahoma è stata condannata da un tribunale a quattro anni di prigione per omicidio colposo di primo grado. Una sentenza che sta creando roventi polemiche oltreoceano. Incinta di 17 settimane, nel dicembre 2020 Poolaw ha avuto un aborto spontaneo che secondo i giudici sarebbe stato provocato dalle sostanze stupefacenti che aveva assunto, anche se lo stesso referto medico del Memorial Hospital di Lawton aveva escluso una correlazione non trovando tracce di droga negli organi in formazione del feto ma solamente nel suo sangue. Molto più probabile, avevano indicato i medici, che si trattasse di una malformazione congenita che ha portato il distacco della placenta, cosa che statisticamente avviene nell’1% delle gravidanze.
Aborto spontaneo, cosa dicono gli ultimi studi scientifici
Gli studi più recenti evidenziano al contrario che la cattiva alimentazione, molto diffusa nelle classi popolari, ha molta più incidenza nella casistica degli aborti spontanei che rappresentano il 25% delle gravidanze negli Stati Uniti. Con questa logica si dovrebbe condannare una donna solamente perché consuma i pasti da Mc Donald’s o nelle tante catene di fast- food a buon mercato disseminate sul territorio americano. Un altro paradosso riguarda la legge sull’aborto, che in Oklahoma è legale fino alla 20esima settimana. Se Poolaw avesse intenzionalmente interrotto la gravidanza oggi sarebbe una donna libera.
Nessuna norma autorizza l’accusa di omicidio colposo per un aborto spontaneo, i procuratori sono andati avanti come treni, incriminando e facendo condannare la giovane, che è una nativa americana appartenente alla vecchia tribù dei Comanches. Non potendo pagare la cauzione di 20mila dollari per ottenere la libertà vigilata, da oltre 18 mesi marcisce in una cella, peraltro in piena emergenza pandemia, prostrata nel fisico e nello spirito.
21enne condannata per aborto spontaneo, gli avvocati insorgono
Del suo caso si sta occupando la National Advocates for Pregnant Women (NAPW), un’organizzazione di avvocati che supporta le donne incinte, indignata dalla reclusione di una donna già scossa: «Nessuna norma prevede di perseguire penalmente una donna per la morte di un nascituro a meno che non abbia commesso espressamente il crimine. Questa vicenda è una tragedia, Brittney è rinchiusa dietro le sbarre da un anno e mezzo, condannata senza basi legali o scientifiche», tuona il portavoce della NAPW, spiegando che chi subisce un’ esperienza traumatica «dovrebbe essere aiutato piuttosto che sbattuto in galera».
L'organizzazione afferma di aver documentato oltre 1.600 casi di criminalizzazione della gravidanza negli ultimi trent’anni negli Stati Uniti. Più di 1.200 di questi si sono verificati negli ultimi 15 anni. Quasi sempre si tratta di donne afroamericane, ispaniche o appartenenti a minoranze etniche e sociali, le meno protette e le più “sacrificabili”: «Questi casi includono donne incinte che sono state arrestate per essere cadute dalle scale, per aver bevuto degli alcolici, per aver partorito in casa, o semplicemente perché si trovavano in un luogo ' pericoloso».
In 24 Stati gli operatori sanitari sono obbligati a segnalare alla polizia il sospetto uso di droghe da parte delle donne in gravidanza. L'American Medical Association, l'American College of Obstetricians and Gynecologists e l'American Academy of Pediatrics denunciano da anni queste pratiche invasive che violano i diritti delle donne, allontanandole dal sistema sanitario e mettendo a rischio la loro salute. I difensori di Poolaw hanno comunque annunciato il ricorso in appello, ma intanto la vicenda sui media nazionali, innescando violente polemiche.