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Draghi
C'è uno scarto enorme tra la percezione della situazione sanitaria diffusa dai media e quella che si ricava parlando invece con politici e amministratori. Il primo quadro delinea una condizione sotto controllo, a forte rischio di limitato peggioramento stagionale ma con ottime probabilità di evitare una vera nuova crisi. Il secondo è quello dell'attesa ogni giorno più tesa di una tempesta che ancora non infuria ma che si considera inevitabile. Un clima da stato d'assedio più che da stato d'emergenza reso plumbeo dalla certezza di un attacco imminente e violento. L'inverno sta arrivando.
Nell'universo della politica, e dunque degli addetti ai lavori perché è di lì che arrivano le previsioni che i politici fanno poi proprie, si dà per scontato che tra dicembre e gennaio l'Italia si troverà di nuovo in piena crisi sanitaria, con tutto quel che ciò comporta. La speranza di evitare le chiusure c'è davvero e il governo farà di tutto per farcela, ma quanto al resto nessuno si illude: le mascherine, le restrizioni, le liste d'attesa per malattie diverse dal Covid lunghissime, i reparti pieni ma ormai con le casse vuote, una nuova campagna vaccinale. Non è detto che le cupe previsioni si dimostrino esatte ma di certo è questa l'incognita che grava sul quadro politico e minaccia di polverizzare strategie, vanificare piani e progetti, ridicolizzare manovre politiche impostate come se ci si trovasse di nuovo in uno stato molto vicino alla normalità.
Si prendano ad esempio le sole due partite politiche che infiammano i palazzi: l'elezione del capo dello Stato e le elezioni anticipate. Nell'incontro con i sindacati di martedì scorso il segretario della Uil Bombardieri avrebbe chiesto al premier se a marzo, quando verrà apparecchiato il tavolo sule pensioni, le confederazioni si misureranno con lui ancora premier, ricevendo risposta affermativa. La voce circola, approda nelle redazioni. Landini smentisce ma con formula assurda: «Non ho sentito la risposta». Sbarra, segretario della Cisl, giura che «non se ne è proprio parlato». Se ne ricava che, pur non essendo ancora detta nemmeno la penultima parola, né in un senso né nell'altro, Draghi è comprensibilmente incerto.
L'ostacolo sulla via della sua nomina, però, non sono le resistenze dei partiti, troppo deboli per impensierirlo più che tanto, e neppure gli agguati dei franchi tiratori. È il Covid. Se l'attuale premier deciderà di traslocare su Colle nessuno avrà la forza di opporsi e a liquidare eventuali resistenze ci penserebbe Bruxelles, che preferisce Draghi capo dello Stato per sette anni piuttosto che premier ma per un solo anno. In una situazione di crisi sanitaria esplosa e di conseguenza di ripresa economica minacciata, però, non è affatto detto che Draghi possa e voglia lasciare le redini del governo. Una cosa è passare a più alto incarico lasciandosi alle spalle una crisi in via di risoluzione, tutt'altra lasciare il comando nel vivo della battaglia. In quel caso l'ex presidente della Bce potrebbe decidere di sacrificare il sogno del Colle, avendo comunque la strada aperta per un'altra presidenza, quella della Commissione europea una volta scaduto il mandato di Ursula von der Leyen.
Le elezioni nel 2022, ufficialmente, le vuole solo FdI e forse davvero tutti gli altri preferiscono arrivare al 2023. Non ad ogii costo, però, e le condizioni della maggioranza non sono tali da sgombrare il campo da dubbi non solo sulla possibilità ma anche sull'opportunità di tirare avanti fino alle elezioni, con di mezzo una manovra, quella dell'anno prossimo, pre-elettorale. Se Draghi resterà premier il tentativo di proseguire è certo, ma non è detto che riesca. Se invece si sposterà su Colle la tentazione di votare, oggi presente ma contenuta, potrebbe imporsi.
Nessuna tentazione seria spunterà fuori, con o senza Draghi, se il Covid infurierà di nuovo. Non solo e forse non tanto per il pericolo di moltiplicare i contagi, corso già da numerosi Paesi negli ultimi due anni, ma per quello di congelare la ripresa con effetti devastanti non solo nell'immediato ma anche nel lungo periodo. Per quanto riguarda i due passaggi fondamentali nella politica italiana, la scelta del presidente e la data delle prossime elezioni, i politici giocheranno comunque le loro partite. Ma a dare le carte sarà il Covid.