PHOTO
Open
Le domande sono due: Il Fatto Quotidiano poteva pubblicare i dettagli sugli estratti conto dell'ex premier Matteo Renzi? Se fosse stata già in vigore la nuova norma sulla presunzione di innocenza si sarebbe configurato un profilo sanzionabile? Il contesto lo riassumiamo brevemente: sul giornale diretto da Marco Travaglio sono stati pubblicati negli ultimi giorni i contenuti dei verbali delle indagini della procura di Firenze sui conti della Fondazione Open, tra cui una informativa del 10 giugno 2020 della Guardia di Finanza che contiene anche gli estratti del conto corrente intestato a Renzi. I cronisti del Fatto nell'articolo del 6 novembre specificano che «gli incassi dell ’ex premier non sono oggetto di indagine: non è per questo che Renzi è finito sotto inchiesta». Mentre in quello del 7, conoscendo le obiezioni che sarebbero arrivate, precisano: «L'estratto del conto corrente dell'ex premier non è un documento che Il Fatto ha trafugato chissà dove. Bensì è oggetto di una informativa della Guardia di Finanza depositata dalla procura della Repubblica di Firenze nell'ambito dell'inchiesta sulla Fondazione Open e che vede Renzi indagato per altri fatti per concorso in finanziamento illecito. Qualche settimana fa, la procura ha chiuso l'indagine, di conseguenza sono stati depositati tutti gli atti, che a questo punto non sono più riservati e possono essere utilizzati nell'ambito della cronaca giudiziaria». È vero, secondo l'interpretazione prevalente dell'articolo 114 del ccp, che «è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto». Si tratta di atti che sono stati messi a disposizione delle parti all'esito della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini. È dunque possibile la pubblicazione del contenuto ma non dell'atto in sé. Ma chi ha dato al giornale gli atti? Ai fini disciplinari la domanda è irrilevante, perché si tratta di atti di libera circolazione. Certo è che non li ha passati la difesa di Renzi ai giornali. Rimangono gli uffici di procura e di polizia giudiziaria. Pur tuttavia, alcuni ritengono, come l'avvocato Cataldo Intrieri ieri su Linkiesta, che il 114 sia «uno degli articoli più ambigui e peggio scritti del codice e che senza una sua adeguata modifica la direttiva sulla presunzione di innocenza servirà a ben poco». Il motivo è chiaro: la direttiva interviene prevalentemente sulla fase delle indagini e mira a scongiurare la lesione del diritto alla presunzione di innocenza limitando le comunicazioni della procura e imponendo un tipo di linguaggio non colpevolista. Ma nel caso Renzi siamo in una fase successiva, quando le indagini sono concluse e ci sono altre norme a disciplinarla. Ed infatti per l'onorevole di Azione Enrico Costa siamo in presenza di «un atto istruttorio utilizzato per gossip giornalistico che non doveva essere pubblicato nel dettaglio. Purtroppo le sanzioni per questa violazione sono ridicole e tutti se ne fregano. Io avevo presentato nella riforma del processo penale degli emendamenti per implementare molto le sanzioni, ma non sono stati accolti. Inoltre lo spirito della norma è la verginità del giudice: lei crede che i giudici eventualmente chiamati a celebrare il processo non abbiano letto i giornali in questi giorni?». Per l'avvocato di Matteo Renzi, Federico Bagattini, «al di là delle iniziative che potranno essere assunte da chi ha visto violato in modo così evidente il proprio diritto alla riservatezza, la normativa sulla presunzione di innocenza attiene, più che alla pubblicazione degli atti, al lessico che deve essere utilizzato da parte degli organi inquirenti nella comunicazione con la stampa in merito ai risultati di indagine. Quindi direi che se fosse stata già in vigore non sarebbe cambiato nulla». Il problema è semmai un altro e di forte peso. Riguarda l'inserimento nel fascicolo di indagine di elementi di dubbia utilità per dimostrare la colpevolezza. Ricordate che abbiamo scritto all'inizio? Gli incassi dell'ex premier Renzi non sono oggetto di indagine. Difatti, come ci spiega il professore Giorgio Spangher, emerito di diritto processuale penale all'Università La Sapienza di Roma, «il problema non riguarda tanto la pubblicabilità o meno, ma la pertinenza delle acquisizioni al fascicolo. Mentre per le intercettazioni si è riusciti a far inserire nell'archivio riservato quelle irrilevanti ai fini delle indagini, il legislatore ancora non si è posto il tema dell'irrilevanza rispetto all'attività di acquisizione di materiale da perquisizione e sequestro, soprattutto in materia bancaria. Questo episodio dunque deve indurre il legislatore a ripensare la norma». Concorda con il professor Spangher anche l'onorevole di Italia Viva Catello Vitiello, che è, tra l'altro, primo firmatario di una proposta di legge che interviene sul delicato rapporto fra giustizia e media e mira a trovare un punto di equilibrio tra le necessità investigative e le esigenze di pubblica informazione in occasione di vicende giudiziarie di pubblico interesse, da un lato, e il diritto dei cittadini alla tutela della loro riservatezza, da un altro lato: «L'estratto conto non è pubblicabile. Il segreto investigativo riguarda gli atti di indagine e cade effettivamente quando c'è l'avviso di conclusione delle indagini. Dopo di che gli atti sono pubblicabili. Ma attenzione: se siamo in presenza di dati sensibili, che riguardano la vita privata della persona e soprattutto nulla hanno a che vedere con la rilevanza penale o con l'interesse pubblico, non possono essere pubblicati per il rispetto della privacy. La mia proposta di legge cerca proprio di mettere un freno a queste situazioni perché quello che proponiamo è che la normativa del segreto di ufficio si estenda anche all'arco temporale in cui gli atti di indagine sono conosciuti dalle parti, cioè fino a quando non inizia il processo vero e proprio». Dunque le nuove domanda da porci sono: come si può limitare la pubblicazione di elementi non rilevanti? Con maggiori sanzioni per la stampa o imponendo al pubblico ministero di non inserirli nel fascicolo? Spesso ci si giustifica dicendo che, seppur irrilevanti, sono dati utili a spiegare il contorno, il contesto ma allo stesso tempo costituiscono un elemento di forte impatto reputazionale, che svilisce a questo punto il tentativo di protezione dei diritti dell'indagato ricercato con la direttiva europea. Perché intanto sui giornali si continua ad essere sbattuti.