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Un botta e risposta serrato, sgradevole, durissimo come raramente è avvenuto tra i membri dell’Unione. Lo scambio consumato questa mattina nell’emiciclo di Strasburgo tra la presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula von der Leyen e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki segna infatti uno strappo violento tra Varsavia e Bruxelles e una frattura nel cuore dell’Ue. La temuta “Polexit” non è più un sinistro fantasma giornalistico ma una prospettiva possibile, anche se ancora improbabile.In gioco non c’è solo la lealtà verso i trattati comunitari e la coerenza politica di una nazione nei confronti di quegli impegni, ma gli stessi valori fondativi dell’Europa, il rispetto dello stato di diritto e l’indipendenza dei poteri che, secondo la Commissione, la Polonia sta mettendo seriamente a repentaglio. L’ordine del giorno riguardava la recente sentenza della Corte costituzionale di Varsavia, per la quale diventano irricevibili tutte le norme europee in conflitto con l’ordinamento polacco. Il diritto primario è quello nazionale!», avevano scritto i magistrati dell’Alta corte», sospettati (non a torto) di essere poco più che dei burattini nelle mani del partito di governo, gli ultraconservatori di Diritto e giustizia, nome ancor più paradossale di fronte all’evoluzione degli eventi. Sostanzialmente Varsavia non intende applicare centinaia di regolamenti comunitari che ritiene incompatibili con la sua Costituzione ma soprattutto le norme che limitano le sue scorribande contro le minoranze, in particolare la comunità LGBTQ (l’esecutivo ha stabilito sul territorio delle zone “gender free” e bandito dalle scuole i libri che mostrano famiglie omosessuali ) o contro la libertà di espressione e di stampa, Il conflitto dunque qualcosa che va al di là dell’aspetto finanziario come ha ricordato la stessa presidente Ue in un discorso molto accorato, dal respiro “storico” in cui ha citato l’impegno unitario per l’Europa di Lech Walesa, di Papa Karol Woytila e persino dell’ex presidente conservatore Kachinski che aveva sottoscritto con convinzione il trattato di Lisbona sancendo l’ingresso di Varsavia nello spazio Ue. Anche se poi i “biechi soldi” sono l’unico strumento concreto in mano all’Ue per contenere i frondisti: «La Commissione europea sta analizzando la sentenza della Corte suprema polacca ma posso già dirvi oggi che sono fortemente preoccupata perché essa mette in discussione la base dell'Unione europea. Costituisce una sfida diretta all'unità degli ordinamenti giuridici europei», ha tuonato von der Leyen prima di lanciare un avvertimento alla Polonia: se non si ricuce lo strappo verrà affettuata una procedura di infrazione e magari, anche se non viene enunciato in modo espliciti, potrebbero venire meno i miliardi del Recovery fund. «Siamo preoccupati per l'indipendenza dei giudici da tempo, perché l'immunità dei giudici è stata spesso rimossa senza giustificazione, questo minaccia tutto il sistema giudiziario che costituisce un pilastro dello stato di diritto. La situazione è peggiorata e non permetteremo che i nostri principi siano messi in pericolo e quindi non resteremo fermi ma agiremo perché abbiamo il diritto e il dovere di difendere i trattati. La prima opzione è la procedura d'infrazione per impugnare legalmente la sentenza del Tribunale costituzionale polacco. Un'altra opzione è il meccanismo di condizionalità e altri strumenti finanziari, perché nei prossimi anni investiremo 2.100 mld di euro», tra Next Generation Eu e Mff». Immediata e decisamente ruvida la replica del ministro polacco (doveva parlare per cinque minuti ed è andato avanti per 35) che non ci sta a farsi processare davanti gli altri eurodeputati esordendo con un raggelante paragone: «La Polonia ha combattuto il Terzo Reich e quindi non accetta ricatti e non si lascia intimidire e respinge la lingua delle minacce. Parlare di violazione dello stato di diritto o addirittura di Polexit è una menzogna. Il mio governo e la maggioranza parlamentare è parte di una coalizione pro-europea. Ma questo non vuol dire che in Polonia non ci siano dubbi e delle preoccupazioni circa l’indirizzo che assume l’Europa che sta compiendo un’azione strisciante contro di noi mettendoci di fronte alla politica del fatto compiuto. L’Unione non è uno Stato, gli Stati membri restano padroni, sovrani dei trattati. Sono gli Stati membri che decidono quali competenze delegare all’Ue». L’unica concessione di Morawiecki riguarda la sezione disciplinare dei giudici (accusata di essere eterodiretta dal governo a partire dalle nomine) che verrà abolità, Troppo poco per rassicurare Bruxelles. La gran parte degli interventi in aula ha sostenuto la linea della Commissione, dal Commissario alla giustizia Didier Reynders il quale ha ricordato che «il diritto comunitario non è stato imposto ma accettato dalle singole nazioni», al il capogruppo del Ppe Manfred Weber che ha sottolineato come la Germania, firmando il trattato di Maastricht «abbia cambiato la sua Costituzione per renderla compatibile con il diritto europeo». Varsavia però non è del tutto isolata e ha incassato la solidarietà di un’altra nazione che coltiva rapporti ambigui e conflittuali con l’Ue, l’Ungheria di Viktor Orban: «Sono d’accordo con il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, che ha assicurato che il principio del primato del diritto dell’Ue non è illimitato, ma si applica solo nei settori di competenza dell’Unione», ha scritto la tetragona ministra della Giustizia, Judit Varga, in un post su Facebook. Insomma il braccio di ferro è appena cominciato e Varsavia, come Budapest tireranno la corda senza però consumare una rottura che a loro conviene meno che a Bruxelles.