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Un’aggressione «ingiustificata e sproporzionata». È quanto scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza dello scorso 7 maggio al processo per la morte di Stefano Cucchi, condannando fra gli altri a 13 anni per omicidio preterintenzionale i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati del pestaggio del 31enne romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini. «La vittima è colpita con reiterate azioni ingiustificate e sproporzionate - sottolineano i giudici -, rispetto al tentativo dell’arrestato di colpire il pubblico ufficiale con un gesto solo figurativo inserito in un contesto di insulti reciproci inizialmente intercorsi dal carabiniere Di Bernardo e l’arrestato, che, nel dato contesto esprime il semplice rifiuto di sottoporsi al fotosegnalamento». Per i giudici di Appello «può ritenersi accertata la sproporzione tra l’alterco insorto tra Di Bernardo e Cucchi rispetto alla portata dell’aggressione da quest’ultimo patita alla quale partecipò D’Alessandro». «Le violente modalità con cui è stato consumato il pestaggio ai danni dell’arrestato, gracile nella struttura fisica, esprimono una modalità dell’azione che ha trasnodato la semplice intenzione di reagire alla mera resistenza opposta dall’arrestato alla esecuzione del foto segnalamento», si legge nella sentenza. In secondo grado è stato condannato inoltre a quattro anni per falso il carabiniere Roberto Mandolini ed è stata confermata la condanna per lo stesso reato a due anni e mezzo per Francesco Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni ha fatto luce sul pestaggio avvenuto nella caserma Casilina la notte dell’arresto. In primo grado, il 14 novembre 2019 la prima Corte d’Assise di Roma aveva condannato a 12 anni di carcere i due carabinieri accusati del pestaggio, Di Bernardo e D’Alessandro riconoscendo che fu omicidio preterintenzionale, come sostenuto dal pm Giovanni Musarò. Era stato assolto invece «per non aver commesso il fatto» per questa accusa Francesco Tedesco. Per lui era rimasta la condanna a due anni e mezzo per falso. Per la stessa accusa era stato condannato a tre anni e otto mesi il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia.