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Milano
«Sono amareggiata e delusa: mi hanno licenziato ritenendo che sia io la famosa postina dei verbali di Amara, sebbene dagli atti emerga una verità diversa. La ritengo una gravissima ingiustizia e mi difenderò in tutte le sedi giudiziarie». A nemmeno 24 ore dal suo licenziamento, deciso dal plenum del Csm mercoledì sera, Marcella Contrafatto, ex segretaria di Piercamillo Davigo a Palazzo dei Marescialli, rompe il silenzio. Lo fa con poche parole, tramite il suo avvocato Alessia Angelini, non nascondendo lo shock per una decisione che definisce ingiusta, ribadendo l’unica dichiarazione finora rilasciata davanti all’autorità giudiziaria: «Non sono io la postina». E lo fa tirando in ballo gli atti, tantissimi - metà dei quali consegnati soltanto mercoledì non solo al Csm, ma anche ai difensori -, dentro ai quali, afferma la dipendente ora licenziata, si nasconde una verità diversa. E quella verità il suo difensore in sede disciplinare, l’avvocato Riccardo Bolognesi, ha provato a raccontarla anche al Csm, chiedendo una revoca del provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare, che stando a quanto sostenuto dal segretario generale il 19 aprile scorso, doveva essere messo in stand by, ritenendo impossibile «adottare alcuna utile determinazione poiché le decisioni da assumere in sede disciplinare risultano connesse all’accertamento della sussistenza o meno dei fatti oggetto delle investigazioni in sede penale». Il procedimento era stato dunque congelato fino alla sentenza irrevocabile. Ma il primo luglio, improvvisamente, il passo indietro: lo stesso segretario ha dichiarato «cessati gli effetti del provvedimento di sospensione emesso in data 19 aprile 2021», pur non essendo ancora conclusa, all’epoca, nemmeno la fase delle indagini. I termini dell’avviso di conclusione delle indagini, nel frattempo, sono stati riaperti, proprio perché la difesa non era entrata in possesso di tutti gli atti depositati. Ma quel che emerge dal plenum di mercoledì suscita più di un dubbio. Ovvero che a far girare quei verbali segretissimi e finora mai verificati fino in fondo sia stata più di una mano. La domanda, dunque, rimane sempre la stessa: chi aveva interesse a farlo? Il plico consegnato al Fatto quotidiano Contrafatto è accusata di calunnia dalla procura di Roma per aver spedito copie dei verbali di Piero Amara, ex legale esterno dell’Eni, a Repubblica e al consigliere del Csm Nino Di Matteo. Verbali corredati da alcune note nelle quale si faceva riferimento a Francesco Greco, procuratore di Milano, reo, secondo il “corvo”, di aver rallentato le indagini sulla presunta “Loggia Ungheria” di cui Amara ha parlato davanti ai magistrati milanesi Laura Pedio e Paolo Storari. Quest’ultimo, ad aprile dello scorso anno, di fronte alla presunta inerzia dei suoi superiori nell’iscrizione dei primi indagati relativamente a tale vicenda, ha consegnato i verbali a Davigo, come forma di autotutela. Da lì una serie di indagini per omissioni di atti d’ufficio (a carico di Pedio e Greco) e per violazione del segreto istruttorio (a carico di Storari e Davigo) condotte dalla procura di Brescia, competente per le indagini sui magistrati milanesi. La vicenda è esplosa nel momento in cui Di Matteo, nel corso di un plenum, ha denunciato pubblicamente di aver ricevuto i verbali secretati, nei quali veniva fatto, tra gli altri, il nome del consigliere Sebastiano Ardita, indicato tra i membri della loggia. Un nome, il suo, che si ricollega strettamente a quello di Davigo: dapprima grandi amici e co-fondatori della corrente Autonomia&Indipendenza, i due hanno interrotto i rapporti a marzo 2020, ovvero prima della consegna dei verbali. Secondo la versione di Davigo, però, la rottura sarebbe da addebitare proprio a quella citazione nei verbali, benché mai verificata (e smentita dai fatti). Ma in mezzo a tutto ciò si inserisce anche la spedizione di un plico al Fatto quotidiano: si tratta sempre dei verbali di Amara, che il giornalista Antonio Massari ha poi consegnato in procura a Milano, dando il là ad un’indagine sulla fuga di notizie. Ma quei verbali, ha spiegato Bolognesi davanti al plenum, non sono stati spediti da Contrafatto. Non un’ipotesi, la sua, bensì una certezza: in primo luogo perché quella missiva non compare tra le accuse contestate a Contrafatto, e poi sulla base di una perizia commissionata dalla procura di Milano, che accerterebbe l’esistenza per lo meno di un’altra copia di quei verbali.
La perizia
La perizia, commissionata da Storari a marzo scorso, doveva accertare se «i verbali di interrogatorio - presentati dal giornalista Massari il 30 ottobre 2020 - provengono dagli originali firmati degli stessi o dai file word dei medesimi prima della stampa per la firma». Dall’analisi è emerso che «i documenti prodotti dal giornalista non provengono da scansioni dei documenti originali “ripuliti” dalle firme». Insomma, si tratterebbe di copie diverse da quelle che, secondo la procura, avrebbe “distribuito” Contrafatto, tant’è che perfino la procura di Milano certifica l’assoluta estraneità dei fatti in questione alla vicenda riguardante l’ex segretaria di Davigo. La procura meneghina aveva infatti inviato a Roma i verbali delle dichiarazioni di Massari, inviando, poco dopo, una nota a rettifica, nella quale si evidenzia che quell’invio era da ritenere «un mero errore materiale», in quanto si tratterebbe di fatti «che nulla hanno a che vedere con le vicende del procedimento a carico di Contrafatto Marcella e sono tuttora coperti da segreto istruttorio». Insomma, la dipendente del Csm non c’entrerebbe con la vicenda che coinvolge Massari. Tant’è che la stessa procura di Milano, con nota del 15 giugno 2021, ne ha chiesto la restituzione, insistendo poi, con lettera del 30 luglio 2021, «di volere trasmettere copia delle note allegate ai verbali», che nel frattempo sono finite però sui giornali. Da qui la dichiarazione di Bolognesi, secondo cui è «sempre più evidente l’esistenza di diverse "forme" dei verbali e di "fattorini" anonimi attivi dal mese di ottobre 2020, che si esclude possano essere "le segretarie" di Davigo». Nonostante ciò, il Fatto, nel raccontare la storia, ha continuato a sostenere che a inviare in redazione quei verbali sia stata Contrafatto. «In risposta a tali articoli è stata chiesta la pubblicazione di "rettifica" (che non c’è mai stata, ndr) - ha dichiarato Bolognesi -, ma è ben poca cosa rispetto al pregiudizio arrecato sinora da giudizi già definitivi, pronunciati a mezzo stampa». Non solo. Bolognesi si è chiesto come mai la Procura di Perugia e quella di Roma «continuino a trascurare il fatto che la giornalista di Repubblica Milella (tra i destinatari dei plichi anonimi, ndr) risulta aver conversato più volte con il numero del Csm assegnato alla signora Contrafatto, prima del 31 marzo 2021 se, quando è stata sentita in Procura, ricordava solo che fautrice della telefonata anonima che annunciava il recapito dei verbali era del Nord e affermava di non aver mai conosciuto Marcella Contrafatto».
Il movente
Strano appare anche il movente che avrebbe animato la mano di Contrafatto. Secondo quanto dichiarato dall’ex assistente di Davigo, Giulia Befera, sentita dai pm romani nell’ambito dell’indagine a carico di Contrafatto, i verbali sarebbero stati usati dalla stessa come “strumento” per evitare che Davigo decadesse dal Consiglio superiore della magistratura a seguito del suo pensionamento. Piano evidentemente fallito, motivo per cui i verbali sarebbero stati utilizzati con un altro scopo: quello di “punire” il Csm, che avrebbe sacrificato Davigo nonostante il suo tentativo di salvare l’indagine milanese. Il tutto sarebbe stato possibile grazie ad un bel titolone ad effetto, magari dalle colonne del Fatto Quotidiano. «La Contrafatto – ha evidenziato Befera – mi rappresentò che sarebbe stato bello ed eclatante se avesse avuto clamore mediatico la vicenda relativa ai verbali, alla loggia e al fatto che Davigo sapesse e avesse informato la presidenza del Csm e il presidente della Repubblica, venendo ripagato con la mancata riconferma». La donna avrebbe ribadito l’estraneità di Davigo: «Lui non voleva certo che tali notizie uscissero, dava sempre l’impressione di confidare nell’andamento della giustizia», ha dichiarato, mentre Contrafatto avrebbe manifestato l’idea «di scatenare un titolone sui giornali prima del plenum; in pratica mi disse che sarebbe stato “stupendo” se la notizia fosse uscita sui giornali. La mia percezione all’epoca era che Marcella stesse esagerando, perché è un soggetto sopra le righe. Io le dissi “andiamo carcerate”». Ma perché Contrafatto avrebbe dovuto correre un rischio così grave per aiutare (a sua insaputa) Davigo?