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CARLO FRECCERO
Non c’è apocalittico più integrato di Carlo Freccero. Intellettuale in perpetuo movimento da quasi quarant’anni intreccia con destrezza il sacro e il profano, l’alto e il basso, gli anfiteatri della Sorbona e gli studi televisivi della Fininvest, potere e contropotere, audience e diamat, il maggio francese e le spaghettate a Fregene, Theodor Adorno e Mike Bongiorno.Con quella nomea di genietto della lampada appiccicata addosso che è il suo imperituro marchio di fabbrica; Freccero cucina e vende programmi dagli anni 80, è un alto e gallonato esponente della baronia televisiva ma riesce sempre presentarsi come l’irregolare, l’eretico, il principe visionario del piccolo schermo. Tanto di cappello. «La mèche nera e ribelle, l’occhio pieno di lampi, Carlo il passionale e il febbrile, la timidezza e il vestito stretto che porta senza cravatta non riescono a nascondere un Vesuvio sull’orlo dell’eruzione. Ma anche Carlo il filosofo che cita Baudrillard che si muoveva tra le barricate e sognava la rivoluzione e il sol dell’avvenire, sommo sacerdote della tv commerciale a 39 anni. Sì, ci affascina con quell’aria da elfo, le elucubrazioni da Zabulon e il sorriso modesto, da antieroe». Così lo descriveva nel 1987 il quotidiano Le Monde quando fu chiamato da Silvio Berlusconi a dirigere la Cinq, la grande scommessa (poi perduta) del Cavaliere che tentò di conquistare il monolitico paesaggio mediatico transalpino. I francesi, che non amavano Silvio, si innamorano a prima vista di quel guizzante folletto dell’etere, così diverso dagli incravattati, rampanti (e ignoranti) manager degli anni 80. Tanto che quando la Cinq è costretta a chiudere i battenti, Freccero viene chiamato da Jean-Pierre El Kabbash (autentico guru della tv transalpina) a dirigere la programmazione del palinsesto di France 2 e France 3 le due emittenti di Stato che arrancavano di fronte alla privatizzazione di Tf1 (il canale più seguito d’oltralpe) e all’irresistibile ascesa della tv via cavo di Canal plus. E con quell’immagine contraddittoria di sofisticato pensatore heidegherianamente gettato nelle grevi e roboanti arene degli studi tv, in bilico tra ermeneutica e mainstream, tra antagonismo e mercatismo, ci gioca da quando i media si sono accorti di lui. La vanità ha fatto il resto. A viale Mazzini nel corso degli anni ha occupato poltrone di prestigio, ha diretto Rai 2 (due volte, la secondo con effetti altamente cringe), Rai sat, Rai 4, è stato membro dell’ambitissimo Cda, ma guai a dargli del signorotto, guai ad associarlo al sistema, alle odiate élite, Freccero ci tiene a ribadire che l’establishment gli ha sempre messo i bastoni tra le ruote e lui lo ha combattuto con coraggio e alterità, come il Fabrizio De André di Storia di un impiegato che il potere l’ha «gettato dalle mani». Salvo poi riprenderselo al giro successivo. Situazionista anche per le tante “situazioni” professionali che è riuscito a ritagliarsi nel corso della sua carriera, gauchiste, foucaultiano, berlusconiano, grillino, e infine «sovranista e patriota» come ha fieramente rivendicato in una spassosa intervista rilasciata al Foglio mercoledì scorso. L’ultimo approdo dell’eterno enfant prodige della televisione italiana è la trincea della lotta al green pass, alla dittatura sanitaria, o la «tirannide senza scrupoli» per dirla con Giorgio Agamben altro attempato intellettuale in lotta con i draghi (o i Draghi) del pensiero unico. Amante delle grandi costruzioni filosofiche, e memore delle giovanili passioni per Michel Foucault, Freccero non denuncia semplicemente le inefficienze, le negligenze, o magari la malafede dei governi, l’avidità di Big Pharma, le contraddizioni tra sicurezza e libertà come farebbe qualsiasi intellettuale critico. Noi comuni mortali osserviamo il dito delle piccole beghepoliticiste, i grandi intellettuali guardano invece la luna, una luna che illumina il mondo con una luce cupa. Dietro il dispositivo dei lockdown, delle vaccinazioni di massa, dei green pass obbligatori c’ è una volontà precisa, ribolle una spietata cospirazione ai danni dei popoli da parte di individui privi di senso morale, «si tratta del great reset o grande reset», denuncia il nostro citando l’espressione coniata dal principe Carlo di Galles e dal direttore del World Economic Forum Klaus Schwab che, nel maggio del 2020, avevano abbozzato alcune timide proposte per ricostruire l’economia globale dopo la pandemia di Covid 19. Scenari astratti senza riscontri o proposte reali a cui agganciarsi, ma buoni a far drizzare le antenne del complottista medio. Semplificando: il coronavirus è stato creato dai vertici finanziari per ristrutturare l’economia del pianeta, controllare i governi e instaurare un nuovo ordine mondiale. Una classica e neanche molto elaborata teoria del complotto che da mesi lievita nelle pieghe del web, conquistando un’eteroclita ma determinata armata Brancaleone di adepti e seguaci. Come spesso accade le suggestioni cospirazioniste sono double face, si possono cioè interpretare a seconda della propria “sensibilità” politica, così per alcuni il grande reset è una congiura dei poteri forti del capitalismo planetario, i soliti Bildeberg, rettiliani e illuminati ( e perché no, ebrei), allo scopo di arricchirsi ai danni della povera gente, per altri sarebbe addirittura una macchinazione comunista volta a eliminare il sistema sociale fondato sulla libera impresa. Una favola nera fatta di distopie e trame sinistre, come in una fiction di quelle che tanto piacciono a Carlo Freccero. Che in questo cortocircuito ideologico non solo ci si tuffa allegramente ma ne abbraccia la versione più estrema e radicale, sostenendo addirittura che il fine ultimo del grande reset non è il semplice potere oligarchico ma l’eliminazione di gran parte della popolazione umana della Terra: «C’è un filone che parte da Malthus, ovviamente. Guardate il ministro Cingolani: dice che bisogna portare la popolazione mondiale da nove a tre miliardi. L’ho trovato su internet, questa cosa è importante», continua nell’intervista rilasciata al Foglio In uno sprazzo di improvvisa lucidità poi ammette: «Forse sono figlio di Piazza Fontana. La mia generazione è contaminata dalla scuola del sospetto». Anche se poi sorge il dubbio che un peso massimo del citazionismo gigione e narcisista come Freccero intendesse la scuola del sospetto filosofico dei vari Marx, Nietzsche, Freud, giusto per appuntarsi l’ennesima medaglia e aggiungere qualche altra iperbolica giravolta del pensiero al già folto campionario di paraculismo e mirabilia.