«Non riusciamo a seguire tutti i casi e si rischia di raggiungere una situazione non più fronteggiabile sotto ogni punto di vista!». A denunciarlo sono circa 250 funzionari del servizio sociale che si occupano della presa a carico degli imputati raggiunti da misure alternative alla detenzione.
Il Dubbio ha potuto verificare che con una valanga di lettere, hanno sommerso i sindacati e l’ordine professionale per chiedere aiuto. Gli operatori sono preoccupati, credono fermamente alla missione del loro lavoro, ma si sentono abbandonati a sé stessi.
Gli operatori temono che senza nuovo personale la riforma Cartabia venga vanificata
Da sempre hanno salutato con favore l’implementazione dell’accesso alle misure alternative al carcere, ma temono che la riforma Cartabia, senza essere accompagnata da una cospicua iniezione di nuovo personale, rischia di gravare ulteriormente il lavoro e rendere vana la riforma stessa. Le misure alternative alla detenzione sono fondamentali per la
deflazione della popolazione detenuta e la riduzione della recidiva. Per renderle efficaci, di grandissima importanza è il contributo dell’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterno) che instaura un rapporto “collaborativo” con l’imputato inteso a verificare sia l’esatta esecuzione dell’affidamento in prova che il corretto reinserimento nel tessuto sociale. A renderlo operativo sono gli assistenti sociali che prendono in carico la persona, seguendolo passo dopo passo.
Oggi il rapporto tra funzionari dell’Uepe e gli imputati o condannati, è uno a 180
Questo sulla carta, ma nei fatti non è più possibile a causa dell’insufficienza del personale. Il rapporto tra funzionari dell’Uepe e gli imputati o condannati, è uno a 180. Dal punto di vista pratico è già insostenibile seguire tutti e la giusta riforma Cartabia che amplierà la platea degli aventi diritto della messa alla prova, se non accompagnata da un sostanzioso incremento delle risorse umane, rischia di rendere vana la buona intenzione. A lungo, se non a breve termine, rischia di diventare un boomerang e dare linfa vitale a chi vorrebbe rinchiudere a prescindere le persone e buttare via la chiave.
I sindacati hanno annunciato iniziative di protesta
I sindacati della Cgil, Cisl e UIL hanno inviato una lettera alle autorità competenti, a partire dal ministero della Giustizia, evidenziando il gravoso problema che affligge le lavoratrici e i lavoratori che si occupano, appunto, dell’esecuzione penale esterna. Già agli inizi di agosto hanno annunciato iniziative di protesta qualora non si fosse fatto fronte al problema. Le prime problematiche già sono iniziate, quando, nel 2014 c’è stato l’ampliamento delle misure alternative e quindi un aumento delle casistiche a carico degli operatori. In effetti, nel 2019 sono state fatte nuove assunzioni. Ma è cambiato poco. Il motivo? Il nuovo personale ha fatto fronte in numero appena sufficiente alla copertura dei pensionamenti intervenuti con quota 100 e dei passaggi di molti assistenti sociali ad altre funzioni richieste dalla nuova organizzazione.
Con la nuova riforma aumenteranno le misure alternative
La nuova riforma della giustizia aprirebbe l’accesso all’istituto della messa alla prova anche a reati con pena edittale fino a sei anni, e alcune misure alternative alla detenzione, entro il limite dei 4 anni della pena inflitta, attualmente di competenza del Tribunale di Sorveglianza, verrebbero direttamente comminate dal giudice della cognizione. Una misura importante e favorevolmente salutata dai sindacati poiché – ci tengono a sottolineare – «rappresenta un portato di grande civiltà, ciò attraverso lo sviluppo e l’incremento delle opportunità di accesso alle forme probation giudiziale».Ma da tutto ciò deriva però che il carico di lavoro degli Uepe accrescerà ulteriormente.
C'è il rischio che non potendo seguire tutti la recidiva non si abbassi
Da ribadire che già in questo momento, in media ogni funzionario di servizio sociale gestisce 180 persone contemporaneamente. Senza un giusto e necessario adeguamento degli organici, si rischia di vanificare lo scopo. Non potendo seguire tutti, nascono problemi enormi, a partire dal fallimento dello scopo primario: l’abbassamento della recidiva e il rischio di un aumento di casi di cronaca di chi è in misura alternativa. Ciò verrebbe prontamente cavalcato da una parte consistente della politica e giornali, pronti a creare indignazione per far arretrare il nostro Paese. In altre parole, l’onda d’urto sui carichi di lavoro generata dall’introduzione della messa alla prova per gli adulti viene scaricata sui singoli assistenti sociali determinando conseguenze inevitabili sulla qualità dell’intervento professionale. «Bisogna garantire che alla riforma Cartabia sia previsto un incremento del personale di servizio sociale nel settore giustizia, proporzionale all’aumento dell’utenza che conseguirà alle nuove misure adottate dal governo», chiedono le lavoratrici e lavoratori senza se e senza ma. Il servizio sociale nel settore giustizia è fondamentale. È quello che ha permesso la realizzazione delle numerose riforme del sistema di esecuzione penale e la sua evoluzione attraverso i paradigmi della giustizia retributivo, riabilitativo e riparativo. Se non viene incrementato, fallisce tutto.