Gentile direttore, torno sul tema discusso con
la voluta provocazione della ri-abilitazione; mi fa piacere che esso abbia, come voleva, colto nel segno di suscitare un dibattito di cui ringrazio Lei ed il Dubbio per ospitarlo così autorevolmente. Come ringrazio i Colleghi che, anche altrove ad esempio sui social, hanno detto la loro. Chiarisco meglio il mio pensiero: continuo a ritenere che il numero totale dei professionisti forensi oggi operanti in Italia sia almeno eccessivo, per questo ho parlato di ipertrofia, basti pensare al confronto tra noi e i colleghi francesi, seppure paragone forse abusato. E credo che la Francia, almeno al pari dell’Italia, sia quantomeno dall’era moderna una culla del diritto, attenta alle tutele ed al funzionamento delle Giustizia, che vengono garantiti, seppure con diversa organizzazione, con circa un quarto dei nostri numeri; e se vogliamo lasciar stare i colleghi transalpini, in Spagna gli avvocati mi risultano essere circa la metà di noi, ed il resto dell’Europa è simile, e comunque non raggiunge i nostri numeri ed il nostro rapporto cittadini/avvocati. Se la Giustizia è malata, la Magistratura è affaticata a voler usare un eufemismo, l’Avvocatura non è esente da malanni o almeno sintomatologie gravi come questa. Quindi a mio avviso il tema esiste. Ed esistono gli effetti deteriori che cagiona o che contribuisce a cagionare. Almeno che, e la si prenda pure come una seconda provocazione, non si aboliscano gli Ordini forensi e relativa abilitazione di Stato lasciando tutto alle leggi del mercato: chi vuol fare l’avvocato metta una targa, magari iscrivendosi ad un registro tenuto da un soggetto privato. Con buona pace dell’articolo 33 della Costituzione, che anche io conosco e che reputo vada difeso a tutela di tutti. Quindi, aldilà della mia inopinabile ovvero peregrina idea provocatoria della ri-abilitazione, vogliamo tutti, anziani e giovani, garantire la qualità dell’Avvocatura? Ha diritto una persona ad essere certa di affidare i propri diritti, a volte la propria vita, alla difesa di un soggetto selezionato che abbia, non solo che abbia avuto in passato, adeguata capacità ed esperienza? Se è sì, come credo fermamente e so di essere in buona compagnia, allora troviamo e potenziamo mezzi e strumenti: abilitazione rigorosa all’esito di un vero e proprio percorso selettivo magari condiviso con i futuri magistrati, formazione professionale permanente seria, obbligatoria e verificabile (ad esempio non comprendo perché dopo 25 anni di professione si debba essersene esenti), vigilanza attenta e continua degli Ordini sugli iscritti anche sotto il profilo deontologico, un rinnovato ruolo di impulso, proposta, orgogliosa difesa del ruolo e prestigio dell’Avvocatura, che non si misura sul numero degli iscritti, da parte del Consiglio Nazionale Forense. E quant’altro chi più esperto di me vorrà indicare. E non è detto che debba essere un avvocato anche se noi siamo i più titolati a parlarne seppure, come la nostra stessa professione ci insegna, non deteniamo la verità.
Lettera firmata da Corrado Carrubba, Ordine Avvocati di Roma +++++
Gentile avvocato Carrubba,
mi permetta di citare il pensiero di Henry Kissinger, controverso ma geniale politico e politologo tedesco-americano, quando spiegava che la peculiarità delle democrazie occidentali sta nella loro capacità di mettersi in discussione. Una qualità che può apparire come una sorta di fragilità ma che invece è il segno dello loro grande forza. Allo stesso modo le sue intelligenti provocazioni sul ruolo dell’avvocatura sono un segno della vitalità di chi indossa la toga. Discutere alla luce del sole del futuro della professione è un elemento di grande civiltà e onestà intellettuale. Un indice della consapevolezza del ruolo sociale e “politico” dell’avvocatura. Detto questo non possiamo far finta che fuori da queste stanze non vi sia chi pensa di sfruttare la discussione dialettica tra avvocati in modo pretestuoso. Basti dare un occhiata all’articolo di ieri di Piercamillo Davigo il quale, in modo ossessivo, torna a ripetere che il problema della giustizia è dato dall’eccessivo numeri di avvocati. Nessuno vuol chiedere un “patrioct act” dell’avvocatura, sarebbe deleterio soffocare una discussione del genere con lo spauracchio del “nemico che ascolta”. Ma sarebbe altrettanto sbagliato non tenerne conto.
Il direttore Davide Varì