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Economia stagnante, criminalità diffusa e incapacità della politica locale di intercettare i bisogni reali del cittadino sono stati gli elementi per la tempesta perfetta. Con grande schiettezza il presidente del Coa di Foggia, Gianluca Ursitti, descrive il contesto in cui lavorano lui e i suoi colleghi. «La pandemia, qui nel foggiano – commenta l’avvocato Ursitti -, è stata la cartina di tornasole che ha solo mostrato il re nudo. Il problema, in realtà, nasce da molto lontano e trova le sue ragioni nella crisi economica che ci attanaglia da quasi quindici anni, ma, soprattutto, nel numero insostenibile degli iscritti rispetto al tessuto economico in cui si innesta». Il Coa di Foggia ha quasi 3400 iscritti ed un migliaio di praticanti. «Un numero obiettivamente elevatissimo – dice Ursitti - in un territorio non ricco ed oggi oppresso da fenomeni di criminalità diffusa, organizzata e non, che di certo non favoriscono sviluppo e ripresa. Sappiamo tutti che quella dell’avvocato è una figura che per natura ha un rapporto simbiotico con il contesto di riferimento». L’analisi del numero uno degli avvocati foggiani è realistica e non cede alla tentazione del disfattismo. Le riflessioni di Ursitti derivano da una profonda conoscenza dell’ambiente in cui opera e sarebbe ipocrita coprirsi gli occhi o peggio fare descrizioni da realtà aumentata. «Più è degradato il contesto – afferma - più è difficile, per un professionista, operare ed immaginare scenari e prospettive di sviluppo. A ciò si aggiungano i tempi della risposta, obiettivamente lunghi, anche se in linea con il dato nazionale, alla domanda di giustizia. Ciò ha causato una sfiducia collettiva nella figura dell’avvocato, visto come inadeguato alla risoluzione del problema contingente». A Foggia diversi avvocati hanno recentemente riposto per sempre la toga nell’armadio, dopo essere risultati vincitori di concorso nella PA. Alcuni di loro non sono giovanissimi e neppure alle prime armi. «Questo dato - riflette il presidente del Coa - costituisce un forte indicatore empirico del crescente disagio che alligna all’interno dell’avvocatura. C’è chi sostiene che si tratti di una scelta di vita, legittima e rispettabilissima verso lidi più tranquilli. Io ritengo che per molti non rappresenti una scelta e neppure una ghiotta occasione, ma una necessità e, sul punto, penso siano sufficienti i dati pubblicati qualche tempo fa sui redditi medi degli avvocati italiani». Ursitti ci conferma quanto affermato dal suo omologo di Catania, Rosario Pizzino (si veda Il Dubbio del 26 agosto 2021). Stiamo assistendo ad una fuga dai redditi bassi più che dalla professione. Di qui le ripercussioni sui numeri delle iscrizioni nell’albo professionale. «Credo che la figura dell’avvocato – prosegue - abbia subito un obiettivo deficit di appeal e che, soprattutto nelle zone economiche meno evolute, costituisca ancora un “parcheggio” in attesa di orizzonti diversi. Foggia, alla data del luglio 2021, in controtendenza rispetto agli anni precedenti, ha un saldo negativo nel rapporto tra iscritti e cancellati, laddove a fronte di 45 nuovi iscritti abbiamo 95 cancellazioni. Più del doppio, quindi. Tuttavia, non ritengo che ciò costituisca necessariamente un dato negativo. Il numero degli iscritti è obiettivamente spropositato rispetto alle esigenze del territorio e ciò crea non pochi problemi». Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Foggia rivolge un pensiero ai colleghi penalisti e alla tutela dei diritti fondamentali: «Sento parlare poco di carcere, come se fosse svincolato dalla “questione giustizia”. Eppure le nostre carceri sono un cancro per un paese democratico».Come si guarda in questa parte del Sud Italia al fiume di danari che scorrerà con il Pnrr? «Non possiamo che salutare con favore i soldi del Pnrr», evidenzia il presidente del Coa da uno. «Condivido – afferma Ursitti - l’idea della ministra Cartabia, secondo la quale una giustizia rapida è imprescindibile per lo sviluppo di un paese moderno e per la crescita economica. Ad oggi rapidità e giustizia costituiscono un ossimoro. I tempi lunghi non sono più tollerabili, se si vuole restare competitivi nello scacchiere economico e non solo. Una giustizia lenta, nel tempo in cui tutto scorre a velocità prima impensabili, non serve a nessuno». Non serve agli avvocati, prima di tutto. Su questo tema Ursitti si infervora: «Occorre demolire il luogo comune che vuole gli avvocati avvantaggiati da cause lunghe e costose, secondo il brocardo “causa che pende, causa che rende”. L’avvocato è neutralizzato dall’inefficienza del sistema giustizia, che lo vede impotente e disarmato. Non serve alle imprese che sono disincentivate agli investimenti perché temono controversie infinite, con conseguenze spesso irreversibili. Non serve alla comunità che, soprattutto in zone ad alto tasso criminale, è lasciata spesso sola. Una giustizia lenta, in un paese ad alto tasso di burocratizzazione, favorisce fenomeni corruttivi, ai quali sempre più il cittadino ricorre, talvolta anche solo per sopravvivenza»