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L'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, ex pm del pool Mani Pulite è indagato a Brescia per rivelazione del segreto d'ufficio. Secondo quanto scrive" Il Corriere della Sera", a Davigo nell'aprile 2020 il pm Storari consegnò verbali segreti che da dicembre 2019 a gennaio 2020 il plurindagato Amara, ex avvocato esterno Eni, aveva reso su un'asserita associazione segreta, denominata «Ungheria» e condizionante toghe e alti burocrati dello Stato: controverse dichiarazioni che per Storari andavano chiarite rapidamente, anziché a suo avviso relegate "in un limbo di immobilismo investigativo dai vertici della Procura". Amara, ascoltato alla fine del 2019 dall’aggiunto milanese Laura Pedio e dal pm Paolo Storari nell’indagine sui depistaggi nel procedimento Eni- Nigeria, aveva descritto l’esistenza di una superloggia segreta, composta da magistrati, alti esponenti delle Forze di polizia e dell’imprenditoria, finalizzata a pilotare le nomine al Csm e a gestire gli incarichi pubblici. Storari, però, non vedendo riscontri concreti alle testimonianze di Amara, a marzo del 2020 aveva deciso di consegnare al togato del Csm Piercamillo Davigo questi verbali, non firmati, in formato word, cercando così una tutela. Davigo, a propria volta, pare avesse informato i vertici del Csm. Ad iniziare dal Capo dello Stato. Lo scorso ottobre, andato in pensione l’ex pm di Mani pulite, la sua segretaria al Csm, Marcella Contrafatto, aveva provveduto a inoltrarli alle redazioni del Fatto Quotidiano e di Repubblica. I due giornali, ricevuto il materiale, avevano però deciso di non pubblicarlo e di denunciare in Procura l’accaduto. Contrafatto era quindi stata sospesa dal servizio e indagata dalla Procura di Roma. Davigo ieri ha difeso il proprio operato sul punto, sottolineando che «c’è stato un ritardo non conforme alle disposizioni normative nell’iscrizione della notizia di reato, e un ritardo conseguente nell’avvio delle indagini: non è questione di lotte interne, è questione che c’è un soggetto che fa delle dichiarazioni di estrema gravità; che siano vere o false, o che siano in parte vere e in parte false, è necessario fare le indagini per saperlo». Morra: "Davigo mi parlò del caso Amara" «Sapevo anche io della questione perché informato da Piercamillo Davigo. Sono contento che Sebastiano Ardita sia uscito bene da questa vicenda». Sono le parole pronunciate qualche settimanfa fa da l presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra. Parole che certificano che la vicenda relativa ai famosi verbali di Piero Amara, l’ex avvocato esterno dell’Eni che ha svelato l’esistenza di una fantomatica loggia denominata Ungheria, non è rimasta circoscritta al Csm, ma è stata portata anche all’esterno, dove forse non era legittimo che andasse. Anche perché attualmente la procura di Roma e quella di Brescia indagano per rivelazione di segreto d’ufficio, reato per il quale i pm capitolini hanno iscritto il pm milanese Paolo Storari, ovvero colui che ha consegnato quei verbali all’ex pm di Mani Pulite. Morra, nei giorni scorsi, «ha, per le vie formali, messo a conoscenza della procura di Roma i fatti relativi alla questione Amara-Davigo di cui era a diretta conoscenza». Ma dalla sua dichiarazione ciò che emerge è che fosse consapevole della presenza, in quei verbali, del nome di Ardita, erroneamente indicato come appartenente alla fantomatica loggia “Ungheria”, composta, secondo quanto dichiarato da Amara, da magistrati, membri delle forze dell’ordine, politici e avvocati e in grado di pilotare nomine e funzioni. Ma nei verbali di Amara il ruolo di Ardita sarebbe molto più sfumato: l’ex avvocato, infatti, lo colloca ad un incontro, indicandolo come pm di Catania nel 2006, periodo in cui era già al Dap. Insomma, quanto affermato circa il consigliere del Csm non sarebbe credibile. Ma c’è di più. In quei verbali, infatti, non ci sarebbe solo il nome di Ardita, ma anche di un altro consigliere di Palazzo dei Marescialli, ovvero Marco Mancinetti, all’epoca ancora in carica e dimessosi a settembre scorso a seguito dell’azione disciplinare avviata a suo carico in merito all’affaire Palamara.