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Oggi sarà il primo momento della verità per il ddl Zan. Alle 11 si riunirà il tavolo, alla ricerca di una impossibile mediazione. Alle 16.30 si voterà il calendario, con la proposta di tagliare i tempi portando in Aula la legge la settimana prossima, il 13 luglio. La proposta, salvo poco probabili sorprese, passerà. Ma i presagi, per quanto riguarda la sorte della legge, non sono fausti.
Renzi si finge preoccupato per l divisioni nel Pd e nei 5S: sono quelli i voti che, nel segreto, potrebbero mancare e affossare o snaturare la legge. Quelle divisioni ci sono davvero, più nel Pd che tra i 5S e soprattutto tra le donne ma probabilmente non basterebbero ad affondare la legge. Se non fosse che quello del leader di Iv suona come un avvertimento preciso, suffragato dalle parole ancor più precise di Maria Elena Boschi. Saranno i suoi voti probabilmente a far pendere la bilancia in senso avverso al ddl, nel voto segreto.
Anche Salvini fa il tattico, gioca sull'immagine. Non dice di voler bocciare la legge ma, al contrario, di volerla salvare grazie a un accordo di tutti «senza ideologie». Il Pd fa muro. Non accetta alcuna mediazione. I pasdaran come lo stesso Zan e Monica Cirinnà alzano anzi i toni, piuttosto incautamente, con la Cirinnà che paragona addirittura Renzi a Orban e non è certo la miglior via per conquistare i voti determinanti proprio di Renzi.
Ce n'è abbastanza per concludere che il ddl Zan, forse l'unica legge di iniziativa parlamentare importante di questa legislatura, è per tutti l'ultimo degli interessi. Renzi mira a mettere in difficoltà il Pd, ed è logico che sia così dal momento che questo è il senso di tutta la sua politica. Salvini vuole portare a casa il risultato, modificare la legge, senza passare per oscurantista e omofobo, e anche questo sta nelle regole del gioco. Molto meno comprensibile è l'irrigidimento del Pd.
Gli emendamenti di Iv, che ricalcano il testo del disegno preparato a suo tempo da Scalfarotto sono certo una mediazione, ma tutt'altro che inaccettabile. L'intervento più drastico è sul'art. 1, quello che fornisce una definizione dell'identità di genere in base a come detta identità è «percepita e manifestata». L'emendamento propone invece di applicare l'aggravante prevista dalla legge Mancino ai reati motivati da omofobia e transfobia. Se la legge riguardasse l'identità di genere sarebbe una modifica decisiva. Ma la legge parla di tutt'altro. È un'aggravante basata sulle motivazione delle eventuali aggressioni o discriminazioni. Quel che conta è l'intento dell'aggressore, non l'identità dell'aggredito. L'emendamento, che riproduce un testo approvato allora anche da molti sostenitori della Zan oggi, da questo punto di vista non cambia niente.
Comunque la modifica non è tale da giustificare il rischio, che è quasi una certezza, di seppellire la legge pur di non accettarlo Ma in termini di bandiere e bandierine le cose stanno diversamente. Pressato dai pasdaran al suo interno Letta si è spinto tanto avanti da non poter oggi cambiare di una sola virgola il testo senza ' perdere la faccia'. Il risultato finale ha ormai perso d'importanza per tutti. Conta solo chi alla fin potrà dire di aver vinto e chi invece dovrà spiegare al proprio elettorato, drogato da un'informazione tutt'altro che accurata, quella che a questo punto passerebbe comunque come una resa, indipendentemente dai contenuti della mediazione, per il solo fatto di averla accettata.
Sacrificare la legge diventa più utile che portarla a casa sulla base di un compromesso solo all'interno di questa logica, alla quale non si sottrae enssuno né dall'una né dall'altra parte, in basse alla quale quel che conta è il risultato in termini d'immagine, che si prevede possa tradursi domani n consensi elettorali, a tutto scapito della sostanza. Da questo punto di vista tra i due schieramenti in campo non c'è grande differenza e il risultato è doppiamente disastroso. Prima di tutto perché la politica finisce così per esser ridotta al suo livello più elementare, la propaganda, che dovrebbe esserne una parte e invece diventa il tutto. Ma anche perché, trattandosi, di una delle pochissime leggi di iniziativa parlamentare, come dovrebbero invece essere quasi tutte in una democrazia, il quadro desolante che ne emerge non potrà che accelerare quel processo di disgregazione e perdita di credibilità della medesima democrazia parlamentare già quasi arrivato a mèta. Pessimo risultato da ogni punto di vista.