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«Quello che abbiamo visto nei video e nelle foto che stanno girando è solo una parte delle violenze, le immagini più raccapriccianti sono nei video che ha solo la Procura». Lo ha detto Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania, che insieme agli altri garanti provinciali campani ha incontrato la stampa sui fatti di Santa Maria Capua Vetere con riferimento ai materiali probatori delle violenze del 6 aprile 2020. Ciambriello ha incontrato detenuti che avevano subito violenze, «con denti saltati, con tumefazioni ancora dopo un mese dalla mattanza». Emanuela Belcuore, garante dei detenuti di Caserta riferisce anche di un black out «che non ha consentito ai detenuti di vedere i tg» su quanto avvenuto a Santa Maria Capua Vetere «né sono stati distribuiti i giornali». «Sono balzata dalla sedia - ha spiegato Belcuore - quando diversi familiari di detenuti mi hanno parlato di un blackout elettrico nell’istituto e che i detenuti non hanno potuto guardare la tv, e che i quotidiani regolarmente pagati non erano stati distribuiti. Ci è stato raccontato che alcuni agenti avrebbero riferito ai reclusi di voler dare loro i giornali, ma togliendo prima le foto degli agenti raggiunti da misure cautelari». I garanti hanno sottolineato che «nessuna spiegazione» è stata fornita ai 32 detenuti del reparto Nilo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per motivare il trasferimento in altri penitenziari italiani. «Alcuni sono stati trasferiti a Palermo, Palmi, Civitavecchia, Pesaro, Rieti e anche Modena. È un clima che non ci piace e speriamo che vengano fatti tornare al più presto in Campania». La garante dei detenuti della provincia di Caserta, Emanuela Belcuore, ha riferito della «preoccupazione delle famiglie, per un anno costrette a fare videochiamate per parlare con i parenti detenuti e ora, quando si aprono le porte delle carceri, si prendono i detenuti e si spostano a 600 km di distanza». «Quello che è successo a Santa Maria Capua Vetere è stato una cosa eclatante, ma non è accaduto solo lì», ha sottolineato il garante dei detenuti di Napoli, Pietro Ioia, che ha lanciato un appello «agli altri colleghi garanti dei detenuti di altre città. Queste cose succedono anche in altre carceri del Sud, del Centro e del Nord». Ioia, ex detenuto che ha trascorso alcuni anni nel carcere napoletano di Poggioreale, ha spiegato che «il sistema Poggioreale», al quale alcuni agenti della penitenziaria fanno riferimento nelle chat finite nell’ordinanza del gip, «non esiste più. Era il sistema per cui i poliziotti in branco assalivano i detenuti, successe anche a me tanti anni fa. Oggi non esiste più». Mentre Emanuela Belcuore ha lanciato un nuovo allarme affinché «le istituzioni e la magistratura intervengano per fare luce su quanto avviene nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto». «Ci sono molti familiari di detenuti campani e del Napoletano ristretti a Barcellona Pozzo di Gotto - ha spiegato Belcuore - e lì succedono cose inaudite. Ho scritto spesso al garante della Sicilia Giovanni Fiandaca. Chiediamo che si faccia luce sul carcere di Barcellona Pozzo di Gotto affinché non ci sia una "Santa Maria Capua Vetere due". Quello che è successo a Santa Maria è stato qualcosa di eclatante, ma non è accaduto solo lì».