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enrico costa
Il 24% dei tribunali non ha risposto al ministero della Giustizia, che ha quindi dovuto ricavare i dati sulle ingiuste detenzioni e le misure cautelari per altra via. Un dato emblematico, che si aggiunge ad un altro particolare: nonostante sia l’extrema ratio, la misura cautelare più utilizzata rimane quella carceraria, risultando ingiusta in un caso su 10. Dato che raddoppia se alle assoluzioni si sommano i casi in cui, a prescindere dall’esito del processo, le misure cautelari potevano essere evitate, essendo facilmente prevedibile, sin dalla genesi dell’inchiesta, la concessione della sospensione condizionale: è capitato in ben 4.548 casi. Tutto questo si evince dalla relazione sulle “Misure cautelari personali e riparazione per ingiusta detenzione” riferita al 2020, relazione che il governo avrebbe dovuto consegnare alle Camere, per legge, entro il 31 gennaio. Ma per partotirla è stato necessario attendere il 9 maggio scorso, giorno in cui è apparsa sul sito del ministero della Giustizia. Su quelli delle Camere, invece, non c’è traccia, nonostante sia stata consegnata alle rispettive presidenze. A chiederne conto, ieri, è stato il deputato di Azione Enrico Costa, che con un tweet aveva bacchettato l’esecutivo sul mancato rispetto delle tempistiche prevista dalla legge 47 del 16 aprile 2015. La colpa, però, pare essere altrove: sul sito del Senato di tale relazione, infatti, non c’è traccia, su quello della Camera, nonostante la voce sia presente, il link risulta inaccessibile, rimanendo, di fatto, invisibile. Il documento, come detto, è però disponibile ed è stato anticipato, qualche settimana fa, dalle elaborazioni fatte dal sito errorigiudiziari.com. Stando al documento, a inviare i dati richiesti da via Arenula è stato il 76% dei tribunali, meno degli anni precedenti, quando la risposta superava l’80%, ma «i dati di taluni uffici che non hanno risposto sono stati ad ogni modo stimati», scrive il ministero. Tale percentuale spiega la riduzione delle misure cautelari rispetto agli anni precedenti, dato al quale bisogna aggiungere anche il rallentamento delle attività degli uffici causa pandemia. Ma ad indignare Costa è proprio il silenzio ostentato alle richieste di via Arenula. «È incredibile che i Tribunali non rispondano nemmeno al ministero - spiega il deputato al Dubbio -. Ed è per questo che ho presentato un emendamento alla riforma del Csm prevedendo un’ipotesi di illecito disciplinare per i capi degli uffici che non trasmettono tempestivamente i dati statistici richiesti». La relazione risulta aggiornata ad aprile: risale dunque a quella data il completamento della raccolta dati e la loro elaborazione, tenuto conto anche del cambio del governo. In totale sono state 82.199 le misure cautelari, delle quali 24.928 in carcere, 19.331 ai domiciliari senza braccialetto elettronico e 2.618 con braccialetto elettronico. In un anno, dunque, il numero di incarcerazioni è sceso di circa 6mila unità, ma i dati sono parziali. Le misure cautelari custodiali costituiscono, in totale, il 58% circa di tutte le misure emesse. Una su tre è quella carceraria (32%), mentre uno su quattro finisce ai domiciliari (25%). Misure che nei tre quarti dei casi (61.514) vengono stabilite dal gip mentre la restante parte viene emessa nelle sezioni dibattimentali. A detenere il record di misure cautelari in carcere, per distretto, è Roma, con quasi 10mila casi (12%), mentre per singolo tribunale a prevalere è Napoli, dove la percentuale è del 53,2%. La maggiore quota delle misure, in ogni caso, si concentra al nord (39,2%). Ma come si concludono le vicende processuali iniziate con un arresto? Per quanto riguarda i casi con misure cautelari coercitive - in totale 31.455 -, le condanne, nel 2020, sono state 28.586. Nove processi su 10, dunque, si sono conclusi con una condanna, definitiva in poco più di 7mila casi, ma il dato interessante è, come anticipato, un altro: quasi 5mila “casi” si sono conclusi con la sospensione condizionale della pena, tra processi definitivi e non, esito spesso prevedibile, ma che non ha evitato comunque l’applicazione della misura cautelare. E ciò nonostante sia la legge a vietarlo. Il Dipartimento per gli Affari di Giustizia sottolinea, infatti, che «il giudice non dovrebbe emettere le misure cautelari custodiali degli arresti domiciliari e del carcere in quei procedimenti ove ritenga possa essere concessa, con la sentenza di condanna, la sospensione condizionale della pena (ex art. 275, comma 2 bis, c.p.p.); tuttavia - si legge nella relazione - vi sono molteplici casi in cui tale norma risulta non essere stata osservata». Per il ministero il dato è «quantitativamente trascurabile». Per Costa, però, questa è ormai diventata una clausola di stile: «Nelle ordinanze di custodia cautelare spesso si dice che manca la prognosi della sospensione condizionale della pena. Ma in tanti casi lo stesso gip che firma l’ordinanza che poi fa patteggiare con la sospensione condizionale. Se sommiamo questi casi alle assoluzioni, circa il 20% delle misure cautelari risulta ingiustificato. Ma si parla di numeri come se non fossero persone». In realtà il dato è ancora più alto: sommati alle assoluzioni, che riguarda circa il 10% delle persone finite in carcere o ai domiciliari, la percentuale di custodie cautelari ingiuste schizza al 25%. Il totale degli assolti ammonta a 3.331, di cui 462 con sentenza definitiva, 1.745, invece, con sentenza non definitiva di assoluzione, 289 definitiva per altro e 662 definitiva e non definitiva per proscioglimento a vario titolo. Altro capitolo della relazione è quello riferito ai provvedimenti di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. Nel 2020 sono stati 1.108 i procedimenti aperti, la maggior parte dei quali a Napoli (143), Roma (137), Catanzaro (106) e Reggio Calabria (101). Di questi, 283 sono stati accolti e non sono più impugnabili, mentre sono 133 quelli accolti ma ancora soggetti ad impugnazione, circa 296 in meno rispetto al 2019. La maggior parte degli accoglimenti si registra a Reggio Calabria (43 casi). In 80 casi, la riparazione dipende dall’illegittimità dell’ordinanza di custodia cautelare, in 203 casi, invece, da sentenze di proscioglimento. Errori per i quali lo Stato, lo scorso anno, ha sborsato 36.958.291 euro, circa sette milioni in meno rispetto all’anno precedente, in riferimento a 750 ordinanze, con un importo medio, però, più alto rispetto al 2019: 49.278 euro contro i 43.487. La città che detiene il record di risarcimento è Reggio Calabria (7.907.009, con una media di 87.856 euro a testa), seguita da Catanzaro, con 4.584.530 euro, e Palermo, con 4.399.761 euro. Ma i magistrati, spiega il ministero, poco c’entrano con questi errori. «Appare evidente come Il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione - si legge - non possa essere ritenuto, di per sé, indice di sussistenza di responsabilità disciplinare a carico dei magistrati che abbiano richiesto, applicato e confermato il provvedimento restrittivo risultato ingiusto». E ciò perché «la riparazione può riconnettersi ad ipotesi del tutto legittime di custodia cautelare accertata ex post come inutiliter data: di frequente, la richiesta e la conseguente adozione di misure cautelari si basa su emergenze istruttorie ancora instabili e, comunque, suscettibili di essere modificate o smentite in sede dibattimentale». Sono pochi, nel 2020, i procedimenti disciplinari aperti, tutti relativi, di base, all’affaire Palamara: 21, nessuno dei quali concluso. Ma in totale, nell’ultimo triennio, sono stati 61 i fascicoli aperti, 57 dei quali su iniziativa del ministero, la maggior conclusi con un nulla di fatto: sono 12 le assoluzioni, 17 i provvedimenti di non doversi procedere. Solo 4 le censure, nessun ammonimento. In attesa della conclusione dei 25 ancora in ballo. Per Costa, il punto è che l’azione disciplinare sulle ingiuste detenzioni non esiste: «Vengono fatte solo in caso di mancata scarcerazione nei termini - spiega -, ma quando c’è riparazione per ingiusta detenzione nessuno va a ritroso a verificare chi ha sbagliato. Per questo ho proposto una legge che prevede il passaggio automatico del fascicolo al titolare dell’azione disciplinare. Ci sono casi in cui in istruttoria dibattimentale cambia tutto e non c’è errore. Ma tutto questo va analizzato, necessariamente».