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Condannati a 22 e 20 anni di reclusione i fratelli Fabio e Nicola Riva, figli dell’ex patron Emilio, scomparso nel 2014, e loro stessi con compiti di responsabilità nel corso degli anni nella gestione e direzione del colosso siderugico, al termine del processo Ambiente svenduto sulla gestione dell’ex Ilva di Taranto. Le condanne sono state pronunciate dalla Corte d’Assise di Taranto, a conclusione del processo iniziato il 17 maggio 2016 che scaturisce dall’inchiesta che portò al sequestro degli impianti dell’area a caldo del siderurgico e agli arresti avvenuti a partire dal 26 luglio 2012. I fratelli Fabio e Nicola Riva sono gli imputati principali, per i quali i pubblici ministeri avevano chiesto la condanna a 28 e a 25 anni di reclusione per disastro ambientale. Disposta dalla Corte anche la confisca degli impianti siderurgici di Taranto così come chiesto dai pm. Ma questa non modifica nulla sulla funzionalità della fabbrica e altiforni ed acciaierie continueranno a produrre. La confisca scatta solo dopo il giudizio definitivo in Cassazione. Condanna a tre anni e sei mesi di reclusione invece per l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola. L'ex governatore risponde di concussione aggravata in relazione ai presunti tentativi di ammorbidire i controlli sui livelli di inquinamento ambientale che sarebbe stato provocato dallo stabilimento siderurgico ex Ilva. Per Vendola, i pm avevano chiesto la condanna a 5 anni. A quasi nove anni dal sequestro degli impianti e dai primi arresti (luglio 2012) e a cinque dall’avvio del processo in Corte d’Assise (maggio 2016), il processo Ambiente Svenduto ha messo un primo punto fermo riconoscendo i reati di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. La sentenza nei confronti dei 47 imputati (44 persone fisiche e 3 società, Ilva in amministrazione straordinaria, Riva Forni Elettrici e Riva Fire), ha messo nel mirino la gestione del siderurgico ex Ilva di Taranto da parte del gruppo industriale Riva. Adesso si attende il deposito delle motivazioni della sentenza, 90 giorni già prorogati di altri 90 come ha letto in aula la presidente della Corte, Stefania D’Errico, e il futuro giudizio di appello. Perché quasi tutti i legali degli imputati hanno annunciato subito l’impugnazione del verdetto. È una sentenza, quella del collegio, riunito in camera di consiglio nella tarda serata del 19 maggio, che in gran parte conferma la linea dura che aveva chiesto la pubblica accusa (quattro i pm del processo) con la requisitoria a febbraio. I due Riva sono accusati dei principali capi di imputazione, riconducibili al disastro ambientale provocato dall’inquinamento della fabbrica. E cioè associazione a delinquere per delitti contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione e falso); operavano con continuità e piena consapevolezza una massiva attività di sversamento nell’aria determinando gravissimo pericolo per la salute pubblica e cagionando eventi di malattia e morte; infine, omettevano di gestire in maniera adeguata impianti e apparecchiature per impedire lo sversamento di una quantità enorme di emissioni diffuse e fuggitive. Ma la sentenza di oggi ha anche riservato delle sorprese. È stato infatti assolto l’ex presidente del cda Ilva, Bruno Ferrante, che è stato anche prefetto di Milano (per lui i pm avevano chiesto 17 anni). Mentre Giorgio Assennato, ex dg Arpa Puglia, che in aula ha rinunciato alla prescrizione, a fronte della richiesta dei pm di un anno, se ne è visto infliggere 2 dal collegio. Ad Assennato viene contestato il favoreggiamento verso Vendola, in sostanza avrebbe negato le pressioni dell’ex governatore pugliese su Arpa. Condannati anche ex dirigenti Ilva ma ora in carica con Acciaierie d’Italia, la nuova società nata dall’alleanza tra ArcelorMittal Italia e Invitalia. Quattro anni sono stati inflitti ad Adolfo Buffo (la richiesta era di 17 anni), all’epoca dei fatti direttore del complesso di Taranto ma ora direttore generale di Acciaierie d’Italia. Condannati anche i fiduciari dei Riva, consulenti dotati di grandi poteri decisionali per l’accusa, noncè gli attuali dirigenti di Acciaierie d’Italia ma alle dipendenze dei Riva anni fa: Angelo Cavallo a 11 anni e 6 mesi (17 anni la richiesta), Marco Andelmi a 11 anni e 6 mesi (17 chiesti), Ivan Di Maggio a 17 anni (analoga richiesta). Hanno ottenuto pene a 17 anni anche gli ex dirigenti di fabbrica Salvatore De Felice e Salvatore D’Alò (analoga la richiesta dei pm). Inoltre, 21 anni di reclusione inflitti a Luigi Capogrosso, ex direttore a Taranto (28 anni la richiesta), e 21 anni e 6 mesi, a fronte di una richiesta di 28, per Girolamo Archinà, consulente dei Riva per i rapporti istituzionali e definito dai pm la «longa manus» verso la politica e le istituzioni. Capogrosso e Archinà sono tra gli imputati principali insieme a Fabio e Nicola Riva. Condannati inoltre a 3 anni l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, e l’ex assessore all’Ambiente della Provincia di Taranto (accusati di pressioni sull’ente per il rilascio di autorizzazioni all’Ilva), prescrizione per l’ex assessore regionale pugliese Nicola Fratoianni, oggi deputato di Sinistra Unita, e per l’attuale assessore alle Politiche agricole della Regione Puglia, Donato Pentassuglia, all’epoca dei fatti alla guida di una delle commissioni regionali. La lettura del dispositivo da parte del presidente D’Errico è durata circa un’ora e 40 minuti sia per il numero degli imputati, sia per quello delle parti civili, ancor più elevato. Per le parti civili disposto giudizio in separata sede ma disposte comunque delle provvisionali dalla Corte. Di «sentenza già scritta e di esito previsto» hanno parlato molti avvocati degli imputati. Per il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, «lo Stato ha riconosciuto le sofferenze della città», mentre per il governatore della Puglia, Michele Emiliano, «la giustizia ha finalmente fatto il suo corso». Per i sindacati, la Uilm esprime l’auspicio che adesso si superi una volta per tutte il conflitto salute-lavoro mentre la Fim Cisl manifesta preoccupazioni circa la confisca degli impianti. Soddisfazione per la sentenza infine dal mondo ambientalista.