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Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Catania e candidato al Csm di "Autonomia & Indipendenza"
Un atto «illegale» e «vile». Il coordinamento di Autonomia&Indipendenza, la corrente di magistrati creata da Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, etichetta così il dossieraggio interno al Csm, che ha portato nei giorni scorsi ad un’indagine a carico di un'impiegata (ora sospesa) del Csm, Marcella Contrafatto, prima membro della segreteria dell’allora consigliere Davigo e fino a qualche giorno fa in forza alla squadra del laico M5S Fulvio Gigliotti. Un complotto, secondo A&I, che avrebbe come obiettivo proprio Ardita. Una sorta di regolamento di conti, con lo scopo di «confinare finalmente il potere giudiziario in un angolo inoffensivo». La vicenda, si legge in una nota dai toni tutt’altro che sobri, riporta indietro nel tempo, ad un passato «durante il quale i migliori uomini di questa istituzione venivano calunniati, fatti oggetto di oscuri dossieraggi, isolati e purtroppo anche uccisi. Si trattava - ricordano le toghe - di condotte atte a garantire a poteri oscuri, annidati nei gangli delle istituzioni di questo paese, di agire indisturbati per condizionarne le scelte e i destini». Ad indicare nome e cognome della vittima è Alessandra Tasciotti, esponente del gruppo di Coordinamento e membro del direttivo dell’Anm. «È indubbio che vittima di questo dossieraggio è, tra gli altri, il consigliere del Csm Sebastiano Ardita - ha dichiarato -. La sua storia professionale parla per lui». Il fatto ormai è noto: il pm Paolo Storari, sostituto procuratore di Milano, ha consegnato all’allora consigliere del Csm Davigo alcuni verbali in formato word, contenenti le dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara, ascoltato nell’inchiesta sul presunto depistaggio ai danni del processo a carico di Eni sul giacimento nigeriano Opl245, conclusosi qualche settimana fa con l’assoluzione dei vertici della società. Verbali segreti, redatti a fine 2019, nei quali Amara racconta dell’esistenza di una presunta loggia segreta, denominata “Ungheria”, della quale farebbero parte magistrati, politici, ufficiali delle forze dell’ordine e vertici delle istituzioni. Centinaia di persone, unite dagli stessi interessi e, soprattutto, intenzionate a gestire le nomine a proprio piacimento. Tra queste, dunque, anche Ardita, che però avrebbe già smentito tutto davanti al procuratore di Perugia Raffaele Cantone. Il punto, ora, è capire chi e perché abbia voluto colpire Ardita. I verbali, infatti, sono stati inviati anonimamente a Repubblica e Fatto Quotidiano, con lo scopo di rendere pubbliche le informazioni contenute in esse. E se è vero, come ipotizza la procura di Roma, che a spedirli è stata Contrafatto, rimane da chiarire a nome e per conto di chi ha inviato quegli atti, violando il segreto istruttorio. Ma c’è anche un altro interrogativo: poteva Storari consegnare quei documenti a Davigo? Sembrerebbe di no: il Consiglio superiore della magistratura, infatti, «opera soltanto sulla base di atti formali e secondo procedure codificate, essendo qualsiasi suo intervento inibito a fronte di atti non identificabili come la sommaria comunicazione verbale da parte dell’allora consigliere Piercamillo Davigo in merito a indagini della procura di Milano», riferiscono fonti del Csm, secondo le quali, «in presenza di notizie in sé irricevibili perché estranee ai canali formali e istituzionali, ogni iniziativa del Csm sarebbe stata scorretta e avrebbe potuto amplificare voci non riscontrabili». I fatti La vicenda inizia a dicembre 2019. Storari, che raccoglie le dichiarazioni di Amara assieme alla collega Laura Pedio, non è contento di come la procura di Milano gestisce la vicenda. Convinto di un eccessivo lassismo e intenzionato ad iscrivere i primi nomi sul registro degli indagati, incalza il procuratore Francesco Greco per velocizzare l’indagine e accertare se quanto dichiarato da Amara sia vero o falso. Tra fine 2019 e inizio 2020, dunque, Storari invia una decina di mail ai vertici dell’ufficio, sostenendo la necessità di fare in fretta e iniziare ad indagare. Richieste che rimangono inevase, stando al racconto di Storari. Che in primavera decide, così, di consegnare tutto in mano a Davigo, con lo scopo di informare il comitato di presidenza e tutelarsi in caso di azioni disciplinari. Si tratta, dunque, dell’anteprima di quegli scontri registrati all’interno del Palazzo di Giustizia a marzo scorso, al termine del processo contro Eni. La consegna a Davigo Secondo quanto sostenuto ieri dal Corriere della Sera, l’ex pm di Mani Pulite avrebbe consegnato quei verbali anche al vicepresidente del Csm, David Ermini. «Quello che ho da dire lo dirò, prima, nelle sedi istituzionali in cui verrò ascoltato», ha sottolineato Davigo, che nei prossimi giorni verrà sentito dalla Procura per chiarire come mai quei file fossero nel computer della sua segretaria. Ermini, dopo aver affermato di essere stato solo «marginalmente» informato da Davigo, ha poi affermato che lo stesso gli parlò della vicenda in più colloqui. Solo ad un certo punto, dunque, avrebbe compreso che Davigo era in possesso dei verbali secretati. L’ex pm di Mani Pulite informa anche il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi, titolato a interloquire con le Procure su indagini in corso, e a maggio 2020 ne parla con il presidente della Cassazione Pietro Curzio. Nessuno dei due, però, sarebbe stato a conoscenza del fatto che Davigo avesse i verbali. Quel che è certo, dunque, è che da dicembre 2019 a maggio 2020 nessuno ha svolto alcuna indagine a riscontro di quanto affermato da Amara sulla loggia “Ungheria”. Tutto regolare, secondo l’ex pm Sul passaggio di verbali segreti dalla Procura al Csm, Davigo è chiaro: «Il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm». E dà ragione a Storari: «Cosa deve fare un pm se non gli fanno fare ciò che deve, cioè iscrivere la notizia di reato e fare le indagini per sapere se è fondata?». Il ritardo della Procura di Milano è infatti, secondo l’ex pm, «non conforme alle disposizioni normative». Storari sostiene di aver seguito la procedura prevista da una circolare del Csm risalente al 1994, secondo la quale «il pubblico ministero che procede deve dare immediata comunicazione al Consiglio con plico riservato al Comitato di Presidenza di tutte le notizie di reato nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio». La regola, spiega un membro del Consiglio, prevede però che per investire il Csm di qualsiasi comunicazione o richiesta la stessa vada trasmessa al Comitato di presidenza. Una vicenda parallela a quella che riguarda il caso Palamara-Fava: all’epoca Stefano Fava, in forza alla procura di Roma, aveva presentato un esposto contro il procuratore Giuseppe Pignatone, sostenendo la necessità di approfondire le dichiarazioni di Amara. Interpellato da Fava, Palamara suggerì al collega di presentare un esposto in prima commissione, che ha il compito di esaminare gli esposti contro i magistrati. Ma quell’esposto rimase senza risposta. Tornando ai verbali di Amara, della questione viene investito anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il fascicolo d’indagine, intanto, viene aperto a maggio 2020, quando la Procura dispone l’iscrizione di tre persone sul registro degli indagati per l’ipotesi di associazione segreta. Ovvero poco dopo che Salvi informa il procuratore di Milano, il quale «il 16 giugno» riferisce «per grandi linee le iniziative assunte». L’indagine a Milano Il 9 maggio 2020, dunque, la Procura di Milano iscrive per associazione segreta Amara, il suo ex collaboratore Alessandro Ferraro e il suo ex socio Giuseppe Calafiore. Il fascicolo, a dicembre scorso, viene poi trasmesso per competenza alla Procura di Perugia, dopo una riunione dopo l'estate con Raffaele Cantone. Greco, intanto, sta preparando una relazione per riscostruire la vicenda, relazione che potrebbe arrivare anche al Csm in vista di eventuale procedimento sulla vicenda. Secondo quanto sostiene la Procura, dopo i verbali di Amara sarebbero stati fatti diversi accertamenti, coordinati dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal procuratore Francesco Greco, per verificare le dichiarazioni dell’avvocato siciliano. Un’altra indagine sarebbe stata poi avviata per comprendere come l’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, indagato e grande accusatore nel processo Eni Nigeria, sia entrato in possesso di alcune pagine dei verbali secretati, dei quali ha chiesto conto ai pm Storari e Pedio nel corso di un interrogatorio. L’indagine sulla loggia “Ungheria” è ora in mano a Cantone, che a settembre, assieme a Greco, ha interrogato Amara a Perugia, prima del passaggio, a gennaio 2021, dell’intero fascicolo a Perugia. Le carte finiscono ai giornali Ad ottobre del 2020, intanto, Davigo va in pensione. Ed esattamente due mesi dopo, a dicembre, i verbali consegnati da Storari vengono inviati a Repubblica e Fatto quotidiano, che decidono, però, di informare le procure di Roma e Milano per evitare strumentalizzazioni. Un terzo plico viene inviato al consigliere del Csm Nino Di Matteo, che ne parla con Ardita e consegna tutto alla Procura di Perugia, titolare del caso Palamara e competente per le indagini sui magistrati di Roma. E la bomba scoppia quando, nel corso del plenum della scorsa settimana, Di Matteo svela tutto ai colleghi, parlando di vere e proprie «calunnie» ai danni di un collega (Ardita) e denunciando un possibile «tentativo di condizionamento dell’attività del consiglio». Così come Ermini parla di «opera di delegittimazione e condizionamento tesa ad alimentare la sfiducia dei cittadini nei confronti della magistratura» e ribadendo l’estraneità del Csm ai fatti in questione. Intanto la Procura di Brescia sta acquisendo notizie e informazioni su quanto avvenuto a Milano. Il fascicolo conoscitivo, spiega il procuratore Francesco Prete, non è ancora formalmente aperto, ma è questione di giorni. Articolo 101: «Sciogliamo il Csm» I componenti della corrente ribelle, Articolo 101, chiedono intanto lo scioglimento del Csm, «per ridare credibilità alla giustizia». E ciò perché il Csm ormai sarebbe «un ambiente da tempo inquinato dall’acquisizione privata di atti giudiziari segreti relativi a fosche vicende e dalla circolazione irrituale e de-formalizzata di notizie relative a tali vicende, aggravano ulteriormente la situazione. È così ancor più evidente che sono venute meno le condizioni minime del normale funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura nella sua attuale composizione. Riteniamo, dunque, che lo scioglimento di questo Csm sia la via obbligata per il ripristino della normale funzionalità dell’organo e, al contempo, la condizione indispensabile per ridare un minimo di credibilità e autorevolezza al complesso delle istituzioni giudiziarie». L’avvocato di Amara: «Il mio assistito è credibile» Interpellato dal Dubbio, Salvino Mondello, difensore di Amara, ribadisce la credibilità del suo assistito. «I soggetti accusati da Amara sono sempre stati condannati e quindi la sua attendibilità è sempre stata riscontrata - spiega -. Chi dice oggi che non è un soggetto credibile è mosso da una volontà di screditare che non aderisce al vero». Mondello non è attualmente in possesso dei verbali incriminati. Ma la sua impressione è che la procedura seguita da Storari non sia del tutto corretta, a livello formale. «La circolazione dei verbali - dice con riferimento alle pubblicazioni di stampa - è illecita, in quanto secretati. Al punto che nemmeno io ne avevo copia come difensore. Se quanto spiegato dai giornali sulla consegna dei verbali a Davigo risponde al vero, è un comportamento che mi pare al di fuori di qualunque norma ordinamentale». Secondo Mondello, i tempi della Procura per accertare se la vicenda Ungheria abbia abbia i connotati previsti dalla legge Anselmi non sarebbero anomali. «Ma in caso, sarebbe stato doveroso fare un esposto formale», sottolinea. Per quanto riguarda le dichiarazioni di Amara, «ha riferito un insieme di fatti che vanno necessariamente verificati. Io ritengo che dica la verità, nei limiti di quel che conosce, e qualche riscontro c’è già». Per quanto riguarda la cosiddetta loggia Ungheria - della quale il Gran maestro del Grande Oriente Stefano Bisi disconosce l’esistenza -, «si tratta di cose che ha appreso direttamente. Si tratta di legami e relazioni indiscutibili, se poi queste hanno i connotati dell’associazione segreta sarà compito della Procura accertarlo. L’unica cosa che però voglio ribadire è che, finora, è sempre stato ritenuto credibile».