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I verbali spediti dal "corvo" del Csm ai giornali sarebbero passati anche per le mani di David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, nel maggio 2020. A farglieli avere, secondo quanto sostiene il Corriere della Sera, sarebbe stato l'allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, che li aveva ricevuti dal pm milanese Paolo Storari, come forma di autotutela contro la lentezza della procura nel verificare quanto affermato dall'avvocato Piero Amara, che ha riferito, nel dicembre 2019, dell'esistenza di una lobby giudiziaria denominata "Ungheria". Non si sarebbe trattato, dunque, di una semplice confidenza da parte di Davigo a Ermini: il vicepresidente avrebbe avuto materialmente in mano quegli atti secretati, senza firma né timbri, e l'informazione, fornita da Davigo, che la Procura di Milano tardasse a scandagliarle. I verbali erano stati consegnati da Storari a Davigo un mese prima: lo scopo del pm milanese era quello di allertare il Csm tramite Davigo e, contemporaneamente, tutelarsi «dalla stasi investigativa ascritta ai colleghi, a suo dire non pari all'urgenza di discernerne verità o calunnia». Ermini, riporta ancora il Corriere, nega di aver mai avuto per le mani quei documenti per meglio rappresentare al Presidente della Repubblica, non ché capo del Csm, Sergio Mattarella, la questione. Davigo, invece, non conforta la smentita di Ermini, sostenendo che «quello che ho da dire lo dirò, prima, nelle sedi istituzionali in cui verrò ascoltato». L'ex pm di Mani Pulite, nei prossimi giorni, verrà sentito dalla Procura per chiarire come mai quei file fossero nel computer della sua segretaria - Marcella Contrafatto, ora sospesa. Ermini, dopo aver affermato di essere stato solo «marginalmente» informato da Davigo, afferma adesso che lo stesso gli parlò della vicenda in più colloqui. Solo ad un certo punto, afferma, avrebbe compreso che Davigo aveva in mano i verbali secretati. Davigo informò anche il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi, titolato (a differenza del vicepresidente Csm) a interloquire con le Procure su indagini in corso. E non solo: a maggio 2020 venne informato anche il presidente della Cassazione Pietro Curzio. Nessuno dei due, però, era a conoscenza del fatto che Davigo avesse i verbali. Quel che è certo, dunque, è che da dicembre 2019 a maggio 2020 nessuno abbia svolto alcuna indagine a riscontro di quanto affermato da Amara sulla loggia "Ungheria". Le cose cambiano soltanto a maggio 2020, quando fu disposta l'iscrizione di due indagati per l'ipotesi di associazione segreta (Amara e forse un suo collaboratore), ovvero a ridosso di quando il pg Salvi «informò immediatamente il procuratore di Milano», il quale «il 16 giugno» gli riferì «per grandi linee le iniziative assunte». In realtà, ci si sarebbe limitati a sentire a sommarie informazioni alcuni testi, per saggiare la credibilità teorica di Amara. Ma poi stop: nessun tabulato venne acquisito, a causa di un supplemento di riflessione voluto dai vertici della Procura, che rischiava di veder smentire clamorosamente il principale testimone dei procedimenti Eni.