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«Esprimo forte indignazione per le gratuite e infondate accuse, gravemente offensive anche della mia professionalità e credibilità personale, che mi vengono mosse da quattro componenti del Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati di cui sono presidente». Lo dichiara il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, dopo il comunicato diffuso ieri dalla lista Articolo 101 che ne chiedeva le dimissioni. «Il mio comportamento - aggiunge Santalucia - è stato sempre ispirato al massimo rispetto dello Statuto dell’Associazione, delle leggi, degli atti normativi sovranazionali, delle indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali, oltre che della piena autonomia del collegio dei probiviri e del suo lavoro. Grazie al mio impegno, in linea con quello della Giunta esecutiva precedente, il collegio dei probiviri è stato posto nelle migliori condizioni per operare». Nessun altro commento, conclude Santalucia, «intendo riservare alle scomposte accuse dei quattro componenti del Comitato direttivo centrale, le cui richieste ho già motivatamente riscontrato». Con il documento diffuso ieri, i rappresentanti della lista Articolo 101 che fanno parte del direttivo del sindacato delle toghe - Giuliano Castiglia, Maria Angioni, Andrea Reale e Ida Moretti - hanno firmato la richiesta di dimissioni prendendo «atto con profonda amarezza del comportamento tenuto dal Presidente dell’Anm Santalucia». Al centro della questione le chat estrapolate dal telefono di Luca Palamara nell’ambito dell’inchiesta della procura di Perugia. «Con una scelta senza precedenti - scrivono nel loro documento le toghe di Articolo 101 - il presidente dell’Anm Santalucia ha deciso di comprimere il nostro diritto di componenti del cdc, e con esso quello di tutti gli altri, alla piena conoscenza di atti di pertinenza dell’Associazione e nella disponibilità della stessa, realizzando una palese violazione delle regole di funzionamento dell’Anm e un gravissimo vulnus alla democrazia interna alla stessa». «Prima, senza ragione alcuna, si è respinta l’idea naturale che l’Anm potesse servirsi del contenuto delle chat del telefono di Luca Palamara pubblicate su fonti aperte, sia per valutazioni e determinazioni di carattere generale sia per eventuali procedimenti disciplinari endo-associativi, come pure era sempre accaduto in passato, anche all’indomani della divulgazione dei fatti dell’Hotel Champagne», scrivono i magistrati. «Poi - contro la logica, contro le conoscenze basilari di ogni magistrato con esperienza del procedimento penale e contro gli elementi di conoscenza disponibile, sia di fonte aperta che di fonte ufficiale - si è ostinatamente negato che le chat fossero state poste a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Luca Palamara e perciò trasmesse, insieme alla predetta richiesta, al G.u.p. del Tribunale di Perugia, con conseguente possibilità del titolare dei diritti della persona offesa, quale è stata qualificata l’Anm dalla stessa Procura della Repubblica di Perugia, di visionarle ed estrarne copia senza limitazione alcuna». «Nel percorso di recupero rispetto all’enorme discredito che "Magistropoli" ha comportato, tra l’altro, per la magistratura associata, l’Anm non può permettersi di continuare a essere guidata da chi ha tenuto la condotta sin qui riferita, tra l’altro lesiva di regole basilari della democrazia interna all’Associazione e, al contempo, oggettivamente accondiscendente verso chi intende sottrarsi alle proprie responsabilità nei confronti della stessa Anm», conclude la nota.