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Sta andando in scena alla Commissione Giustizia della Camera qualcosa di surreale. Si tratta del recepimento della cosiddetta legge europea della direttiva Ue 2016/234 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, leggasi duemilasedici, relativa al rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto dell’imputato di presenziare al processo nei procedimenti penali. Com’è scritto nelle considerazioni iniziali (1), si tratta di quanto previsto, relativamente al diritto ad un equo processo ed alla presunzione di innocenza, dagli artt. 47 e 48 della Carte dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Carta”) e dall’art. 6 della Cedu, dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dall’art. 11 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Dopo 51 premesse, l’articolato si struttura in 11 articoli e fissa al 1° aprile 2018 il termine entro il quale gli Stati membri devono dare attuazione alle disposizioni della direttiva. Come emerge dalla intitolazione, sono due le aree tematiche di intervento: la presunzione di innocenza e il diritto di presenziare al processo. Nel delineare l’ambito di applicazione della direttiva, si precisa che la direttiva si applica a ogni fase del procedimento, dal momento in cui una persona sia indagata o imputata per aver commesso un reato o un presunto reato sino a quando non diventa definitiva la decisione che stabilisca se la persona abbia commesso il reato, cioè, ai sensi dell’art. 3, sino a quando non sia stata legalmente provata la colpevolezza. Il nucleo centrale della direttiva è racchiuso nell’art. 4, comma 1, ove si dispone che “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità”. Al comma 2 della stessa disposizione si dispone che a garanzia del rispetto di queste previsioni deve essere assicurato agli indagati e imputati un ricorso effettivo. I riferiti limiti informativi (art. 4, comma 3) non impediscono alle pubbliche autorità di divulgare informazioni sui procedimenti penali qualora non sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico. Nella prospettiva qui considerata, all’art. 5 si prevede che “Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica. Il paragrafo 1 non osta a che gli Stati membri applichino misure di coercizione fisica che si rivelino necessarie per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi”.Con ulteriori disposizioni si precisano i temi dell’onere della prova della colpevolezza che incombe all’accusa, del diritto alla prova (art. 6), del diritto al silenzio e del diritto di non autoincriminarsi (art. 7), nonché gli artt. 8-9 disciplinano il diritto di presenziare al processo, e il diritto ad un nuovo processo in caso di mancata presenza al processo. Dopo l’art. 10 che, come visto, richiede la predisposizione di un ricorso effettivo in caso di violazione dei diritti di cui alla direttiva, l’art. 11 prevede che entro il 1° aprile 2020 e successivamente ogni tre anni, gli stati membri trasmettano i dati con cui si è data attuazione alla direttiva e entro il 1° aprile 2021 sia presentato al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione sull’attuazione della direttiva. Quanto esposto, impone una riflessione preliminare sull’europeismo ad intermittenza ed a parole: una direttiva del 2016, non solo non è stata recepita ma sembra sussistano difficoltà per il suo recepimento. Pochi giorni fa la Corte di Lussemburgo ha precisato che per i tabulati è necessaria l’autorizzazione del giudice, essendo il pm una parte processuale contrapposta alla difesa. Ieri la Cedu ha condannato (per la seconda volta) l’Italia per la durata delle indagini che abbia impedito alla persona offesa di costituirsi parte civile, a pochi mesi di distanza da una decisione di contrario avviso della Corte costituzionale (C. cost. n. 249 del 2020). Pochi mesi fa, il Parlamento non ha ritenuto di aderire al protocollo 16 della Cedu. Tornando alla direttiva, sono chiare le resistenze per la sua approvazione ove si considerino le esternazioni della polizia giudiziaria e dei pubblici ministeri, la fuga sapiente di notizia, di interviste, di processi mediatici, con possibili condizionamenti sull’attività dei collegi giudicanti e disorientamenti dell’opinione pubblica. A tacer d’altro, basterebbe considerare che la presunzione d’innocenza, con le sue implicazioni che la direttiva evidenzia in termini maggiormente contenutistici, figura già nella nostra Carta costituzionale. Cosa impedisce un rapido recepimento? Un retro pensiero sulla disciplina della sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado?