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enrico costa
Metodo e tempi. È lì il nodo. È sul metodo della massima condivisione possibile e sulla necessità di trovare i tempi giusti che la più garantista delle ministre si trova distante dai due garantisti più “intransigenti” del Parlamento. Da una parte la guardasigilli Marta Cartabia confida nella elevata competenza del suo “gruppo di lavoro” sulla giustizia penale, guidato da Giorgio Lattanzi, e ritiene di poter sciogliere diversi nodi nel ddl sul processo, da emendare a fine aprile. Dall’altra parte, Enrico Costa di Azione e Lucia Annibali di Italia viva la vedono un po’ diversamente. Sono gli autori dei due principali “lodi anti Bonafede”: ebbene, dopo aver accettato di ritirare i loro emendamenti sulla prescrizione non intendono fare un ulteriore passo indietro su un altro dossier: la presunzione di innocenza. Succede che a Montecitorio è in corso di approvazione la legge di delegazione europea. Un provvedimento ampio, non declinato esclusivamente sulla giustizia, ma nel quale Costa e Annibali chiedono di introdurre appunto specifici richiami alla direttiva della stessa Ue in materia di presunzione d’innocenza. Tra le altre, il deputato di Azione ed ex viceministro alla Giustizia chiede di inserire norme (descritte anche in un’intervista al Dubbio) che vincolino le Procure a un rigoroso contegno pubblico nella fase delle indagini, a non attribuire nomi suggestivi alle inchieste, a non diffondere video parapolizieschi, insomma a evitare di servirsi della giustizia mediatica per impressionare l’opinione pubblica, condizionare il giudice e ottenere una condanna virtuale immediata e assurda prima ancora che si verifichi la consistenza delle loro accuse. «Confidiamo che i nostri emendamenti alla legge di delegazione europea, che richiedono il recepimento della direttiva Ue sulla presunzione di innocenza, siano approvati al più presto», dice Costa. «Nella maggioranza di cui facciamo parte non si può indugiare, né prendere tempo su principi inaggirabili della nostra Costituzione». Annibali gli dà man forte: «È inaccettabile il ritardo che il nostro Paese continua ad accumulare rispetto all’attuazione della direttiva: dopo tre anni non possiamo continuare a compromettere la salvaguardia di un principio costituzionale». Poi aggiunge: «Come segnalato anche dalla ministra Cartabia durante l’esposizione delle linee programmatiche, è necessaria una piena attuazione della direttiva europea attraverso un rafforzamento della presunzione di innocenza». Verissimo: la ministra è stata tutt’altro che elusiva sul punto. Tanto è vero che Costa per primo, dopo l’audizione della guardasigilli alla Camera, ha esclamato: «Sento musica per le mie orecchie». Qual è il punto? Cartabia sa delle ritrosie di una parte della maggioranza, dei cinquestelle innanzitutto. Ritrosie emerse anche nella riunione lampo di ieri, che lei stessa presiede in videoconferenza coi capigruppo Giustizia della maggioranza. La ministra chiede dunque di evitare forzature, ma non per accantonare il tema: vuole che le proposte sul penale, sia quelle della “commissione Lattanzi” che le modifiche elaborate dai partiti, confluiscano a breve nel ddl delega, in modo da farne l’epitome della nuova giustizia, nella più ampia condivisione possibile. E d’accordo con lei il sottosegretario agli Esteri Enzo Amendola, che è del Pd e che sovrintende al dossier sulla legge di delegazione europea, divenuta imprevedibilmente occasione di attrito. Alla fine la mediazione è sui tempi: il ministro 5s ai Rapporti col Parlamento Federico D’Incà chiede e ottiene che la riunione si aggiorni alla settimana prossima. Nella speranza di trovare un’intesa sul merito e sui tempi: accogliere nel ddl penale, dunque a fine aprile, parte delle proposte di Costa e Annibali. Si vedrà. I due deputati sono convinti che il dissenso 5 stelle è destinato a emergere, e preferiscono giocare d’anticipo. Cartabia sa che va ricercata l’intesa migliore possibile. E perciò non condivide l’idea di precorrere i tempi. Resta il fatto che il nodo giustizia prima o poi arriverà al pettine della nuova maggioranza. E ci vorrà tutta la cultura costituzionale della ministra per evitare che si trasformi in una mina esplosiva per il governo.